Venti squadre partecipanti. Tre-quattro favorite, le solite note ma non nel solito ordine. E un sogno azzurro, quasi proibito. Dopo quelli di nuoto, ciclismo, atletica, basket (e mettiamoci dentro anche gli Europei di pallavolo), iniziano venerdì a Parigi anche i Mondiali di rugby 2023, che chiudono il trittico di quest’estate dedicata ai cosiddetti “sport minori”. Attesissimi, forse per certi versi anche più dei precedenti, perché mentre le altre discipline hanno le Olimpiadi come orizzonte vero di riferimento, nel rugby come nel calcio la Coppa del Mondo rappresenta la competizione più ambita e prestigiosa, attorno a cui si orientano i cicli e stilano i giudizi. Varrà anche per l’Italia.

Per gli azzurri, Mondiali vuol dire una e una sola cosa: superare il girone e raggiungere i quarti di finale, entrare nelle prime otto al mondo, obiettivo storico e mai raggiunto. La volta che ci siamo andati più vicini era il 2007: un urlo strozzato su quell’indimenticabile calcio di David Bortolussi a cinque minuti dalla fine della sfida contro la Scozia, che sarebbe valso la qualificazione e invece finì fuori di poco. Non avevamo e non avremmo più avuto un sorteggio così favorevole e una squadra così competitiva. Per certi versi, la nazionale di oggi presenta diverse similitudini con quella di allora: è in salute, gioca un ottimo rugby come non si vedeva da anni, ha un ct in uscita (all’epoca Pierre Berbizier, oggi Kieran Crowley: non proprio il viatico ideale per presentarsi all’appuntamento con la storia).

Il paradosso infatti è che l’Italia arriva al contempo nelle migliori condizioni possibili e nella situazione peggiore. Il movimento azzurro sembra rinato nell’ultimo anno e mezzo. Dopo stagioni di sconfitte sonore e figuracce, la Federazione sta raccogliendo quanto seminato nelle giovanili. Ci sono diverse individualità di livello, alcune prodotte in casa (Lamaro, Garbisi, Menoncello), altre pescate all’estero (Capuozzo, Ioane). Soprattutto, c’è una squadra che è tornata ad essere competitiva e soprattutto ha cominciato a mantenere l’intensità per tutti gli 80 minuti, capace a tratti persino di dare spettacolo, grazie all’impronta offensiva e piacevole data dal ct Crowley. Sono arrivati risultati (pochi ma eclatanti, come le vittorie contro Australia e Galles nel 2022) e tante buone prestazioni.

Purtroppo però stavolta il sorteggio non è stato benevolo. A differenza del 2007, dove ci capitò l’occasione, sprecata malamente, di giocarci il passaggio del turno contro la Scozia, stavolta è andata male. Malissimo. Proprio nell’anno in cui tante big (come Galles, Australia, la stessa Inghilterra) sono in crisi, l’urna ci ha riservato due avversarie proibitive. Nel girone a cinque si qualificano ai quarti le prime due, e insieme all’Italia ci saranno anche la Nuova Zelanda e i padroni di casa della Francia, fra le principali favorite del torneo. Gli All Blacks, anche se non al top, restano per i nostri standard praticamente ingiocabili. La data da segnare in rosso sul calendario allora è quella del 6 ottobre: ammesso di aver fatto il nostro dovere contro Namibia (sabato 9 l’esordio) e Uruguay, la sfida con la Francia sarà praticamente uno spareggio. Da affrontare però tutto in salita, fuori casa e con i transalpini tirati a lucido. Sulla carta i pronostici sono chiusi. Nuova Zelanda e Francia avanti, a giocarsi la vittoria finale con l’Irlanda (forse la favorita n.1, anche se ai Mondiali non è mai andata oltre i quarti) e il Sudafrica. L’Italia sembra destinata al terzo posto, che regala la qualificazione di diritto alla prossima edizione e altri quattro anni per riprovarci. Salvo miracoli prima. In ogni caso al fischio finale dell’ultima gara del Mondiale, qualsiasi essa sia, si chiuderà un ciclo: finirà l’era Crowley, accompagnato alla porta dalla Federazione, e inizierà quella dell’argentino Quesada, già annunciato come nuovo ct. Sperando che del miglior momento azzurro dell’ultimo decennio non restino solo rimpianti.

Twitter: @lVendemiale

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