“Il DC-9 dell’Itavia la sera del 27 giugno del 1980 è stato colpito da un missile lanciato da un caccia francese. L’obiettivo era uccidere Gheddafi”. L’esternazione dell’ex Presidente del Consiglio Giuliano Amato è stato l’ennesimo sasso lanciato nello stagno. In attesa dell’esito delle sue parole sotto il profilo storico, giudiziario e diplomatico, a commentare le dichiarazioni di Amato è Luisa Davanzali, figlia di Aldo, morto nel 2005, fondatore e proprietario della compagnia aerea di cui l’aereo esploso sul cielo del Tirreno durante la tratta Bologna-Palermo faceva parte. Luisa Davanzali, sorpresa dalle accuse di Giuliano Amato alla Francia e non solo?

“In fin dei conti, se devo dirla tutta, sono state ritirate fuori cose di cui si era già parlato e teorizzato in precedenza senza, purtroppo, arrivare a nulla. Non mi fraintenda, io sono grata al presidente Amato per il coraggio dimostrato, sebbene lui, come tanti altri, avrebbero potuto parlare prima. Non è giusto aver aspettato così tanto tempo senza arrivare a nulla di concreto, per i familiari delle vittime e per mio padre”.

Amato chiama in causa la Francia come responsabile e lo Stato italiano reo di aver coperto quella guerra nei cieli del nostro Paese quella sera. Dichiarazioni pesanti, è d’accordo?

“Sì. Ricordo quando mio padre proprio nel sostenere la tesi della ‘guerra nei cieli’ fu indagato, oltre all’accusa infamante del cedimento strutturale per spiegare le cause di quella strage. Una vergogna assoluta, per lo Stato italiano e per la Francia”.

Cosa direbbe, se ne avesse l’occasione, all’attuale presidente francese Macron?

“Di farci stare più tranquilli e sereni, tutti noi che tanto abbiamo sofferto in questi 43 anni. Lui all’epoca non c’era, ma se ha a cuore i diritti delle persone, dei familiari delle vittime, dei 12 bambini morti quella sera in particolare, faccia almeno una dichiarazione sull’accaduto e se possibile provi lui stesso a far emergere la verità. Lo stesso appello lo faccio alle nostre autorità. Non è mai troppo tardi. Detto ciò, resto fermamente convinta che il tempo lenirà le ferite e che la verità verrà a galla”.

Intanto, le ferite di cui lei parla restano aperte: quella provocata alla sua famiglia si rimarginerà mai?

“No, mai. Nulla ci ridarà indietro il passato, neppure il presunto risarcimento, i 330 milioni (riconosciuti nel 2018, ndr.) che in realtà non erano diretti tutti a noi familiari stretti, quanto destinati alla liquidazione della stessa Itavia. Soldi a parte, la tesi del cedimento dell’aereo ha distrutto mio padre e la sua impresa. Io e mia sorella Tiziana negli anni scorsi abbiamo provato a rimettere in piedi la compagnia aerea, al di là del ripristino della concessione che al tempo l’allora Ministro dei Trasporti (Rino Formica, ndr.) aveva tolto all’Itavia e a mio padre, ma non ci siamo riuscite. Risarcimenti a parte, ciò che resta, lo voglio ripetere, è la memoria delle 81 vittime. Per loro nessuna somma sarà mai adeguata”.

Che imprenditore era suo padre?

“Un visionario, oltre all’Itavia mio padre ha fatto molto nel settore marittimo, dalle opere del porto di Ancona, la nostra città, quella dove io vivo tuttora, alle piattaforme offshore in Adriatico. Tutto è stato spazzato via quella sera di 43 anni fa”.

Poche settimane fa è morto Andrea Purgatori, giornalista d’inchiesta che tanto si è speso sul caso Ustica fino a contribuire alla realizzazione del film ‘Il muro di gomma’: che ricordo ha di lui?

“Di un gentiluomo, grande professionista, un amico e una persona preziosa. La sua morte ha colpito tutti noi. Se mai la verità storica sulla strage di Ustica verrà finalmente a galla, gran parte del merito sarà suo”.

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