di Carmelo Sant’Angelo

Nella Cina di Mao decine di milioni di laureati e liceali avevano l’obbligo di trascorrere i loro primi anni post istruzione ad arare campi di grano o portare il bestiame al pascolo. Erano chiamati zhiqing, quei giovani costretti a lasciare i centri urbani e avviati alla rimodellazione ideologica nelle aree rurali della Cina. La rieducazione era un dovere e doveva essere svolta ad opera del proletariato, in particolare, dai contadini.

Ho pensato al “grande timoniere” nelle ore di attesa presso un pronto soccorso siciliano. Complice anche la canicola ho creduto che fosse cosa buona e giusta che chiunque acceda ad una carica politica elettiva debba trascorrere almeno una giornata al trimestre presso un pronto soccorso. Sarebbe, anche questa, un’opera di rieducazione. Il Pronto Soccorso è il volto riconoscibile dello Stato-mamma, lo Stato che ti assiste, lo Stato per il quale dovresti pagare le tasse con responsabile dovere civico, senza ritenerlo un “pizzo”.

Attorno al pronto soccorso si aggregano le istanze di una società variegata. Si annullano le distanze, si affievolisce la privacy, si toccano con mano i bisogni degli altri. Numerosi i miei compagni di sventura: la tunisina con il volto da bimba e una pancia resa tonda dal settimo mese di gravidanza; il contadino con un occhio rosso pomodoro, a causa di una spina, che rassicurava il personale del triage dicendo “non si preoccupi, non è la prima volta che mi succede”; l’avvocato caduto dallo scooter che al telefono chiedeva disperato alla moglie di andare a recuperare sul luogo dell’incidente gli occhiali da sole di una nota marca e, pertanto, appetibili; il “cummenda” milanese scivolato sulla barca e con una sospetta frattura all’omero; il vecchietto cardiopatico trasportato in ambulanza; il rumeno feritosi sul cantiere edile; il bambino con la febbre per un colpo di sole; il cingalese con il dito tagliato dalla cesoia per giardinaggio; l’inesperto pescatore subacqueo con la fiocina piantata sul piede…

A fare compagnia ai parenti fuori dal pronto soccorso si aggirava un venditore ambulante straniero, quelli che sulle spiagge sono chiamati, con poca creanza, “vu cumprà”. Con un’accorta strategia di marketing si era ritagliato una sua fetta di clientela. A quelli, come me, con il codice verde proponeva dei parasole per parabrezza, giustificando l’acquisto a causa di un’attesa prolungata; ai fumatori offriva accendini; alle mamme con i bimbi giocattoli di plastica… Offriva ad ognuno la facoltà d’ingannare l’attesa. Non appena, però, si aprivano le porte del pronto soccorso, la sua selezionata clientela sciamava, come un nugolo di insetti, verso l’operatore sanitario che accompagnava il paziente dimesso.

Scene dantesche: ognuno aveva una prece per l’anima del proprio caro; tutti a chiedere informazioni o riferire informazioni. Con molta pazienza l’operatore ascoltava, riportava e alla prossima uscita dava un resoconto. Arrivato il mio turno, non ho potuto fare a meno di ascoltare la surreale discussione tra una dottoressa e un paziente. Quest’ultimo pretendeva un’ecografia all’addome come suggeritogli dal suo medico di famiglia. La dottoressa voleva, invece, effettuare una Tac ritenendo inappropriata l’ecografia, attesa la presenza di aria nell’addome. Impugnato il telefono il paziente si lamentava in diretta con la moglie e, per dare prova di “chi a casa porta i pantaloni”, seguiva il consiglio del suo interlocutore chiedendo di firmare le dimissioni. La dottoressa allibita inutilmente provava a fargli cambiare idea.

Vorrei, in conclusione, ringraziare gli addetti del pronto soccorso non solo per le cure prestate, ma soprattutto per la lezione di educazione civica che quotidianamente impartiscono. Senza aver mai giurato sulla Costituzione con il loro lavoro la rendono viva, concreta e attuale. Coloro che, invece, la dovrebbero difendere aprono autostrade alla sanità privata, adoprandosi per evitare questa “indegna promiscuità” tra poveri e ricchi.

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