Fino a pochi giorni fa era solo un’ipotesi degli investigatori. Adesso arriva la conferma ufficiale. La consulenza autoptica depositata oggi alla Procura di Milano ha rivelato la presenza di veleno per topi sia nel “feto” che nel “sangue” della donna con un “incremento” della somministrazione “nell’ultimo mese e mezzo“. Da mesi, almeno da dicembre, quindi Alessandro Impagnatiello stava tentando di avvelenare con del topicida Giulia Tramontano, la compagna 29enne incinta di 7 mesi poi uccisa il 27 maggio con 37 coltellate e il cui corpo è stato ritrovato dopo quattro giorni gettato vicino a dei box a Senago, in provincia di Milano.

Impagnatiello aveva provato ad avvelenarla proprio per procurare l’aborto di quel figlio che gli impediva di vivere una relazione con una giovane collega che era la sua amante. Un’ipotesi da tempo avanzata dagli investigatori che avevano già due elementi a supporto: un messaggio della ragazza “Non mi sento bene” trovato nel cellulare e la ricerca fatta da Impagnatiello su internet sul veleno per topi nelle bevande calde. In casa, come era emerso già a giugno con estrema chiarezza, era state trovate anche due bustine di veleno.

“Quanto veleno per topi è necessario per uccidere una persona”, è il testo di una ricerca on line effettuata lo scorso gennaio dal barman trentenne Alessandro Impagnatiello. Quella e altre ricerche on line sono contenute in un’informativa dei carabinieri che hanno condotto le indagini coordinate dall’aggiunto Letizia Mannella e dal pm Alessia Menegazzo. La relazione autoptica, depositata oggi ai pm, ha confermato la presenza del topicida, il “bromadiolone“, nel feto e nel sangue della donna. Già a dicembre, tra l’altro, stando all’informativa degli investigatori, Impagnatiello cercava on line il motivo per cui il veleno non stesse facendo effetto, quanto tempo ci voleva perché agisse, salvo scoprire, poi, che perdeva potenza se somministrato con “bevande calde”. E la giovane scriveva, sempre già a dicembre, in alcune chat con un’amica: “mi sento una pezza, ho troppo bruciore di stomaco (…) lo stomaco mi uccide (…) mi sento drogata”.

Dall’autopsia emerge anche che Giulia, morta dissanguata, era ancora viva dopo ogni coltellata. La vittima non è morta dopo il primo fendente, ma la lama del coltello da cucina impugnata dal compagno, attualmente detenuto a San Vittore, ha affondato per ben 37 volte sul suo colpo prima che la giovane morisse dissanguata. Elementi che rendono il delitto ancora più atroce e che potrebbe tradursi, in aula, nell’aggravante della crudeltà, contestata dalla procura fin dal primo istante ma rigettato dal gip Laura Minerva.

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