La castrazione chimica torna a fare la propria apparizione come pena minacciata per stupratori e pedofili (per i quali, sia detto subito, la legislazione italiana è già estremamente severa). Una punizione ben poco rispondente ai principi del diritto liberale e democratico. Principi che innanzitutto pretendono razionalità nel configurare l’idea della pena e suggeriscono dunque con forza e buonsenso di evitare di proporre modifiche ordinamentali all’indomani di tragici fatti di cronaca che inevitabilmente inseriscono elementi di emotività all’interno della discussione. Da molto tempo invece la rincorsa dell’attualità da parte della pena – a seconda di ciò che ha riempito i giornali, propongo oggi pene più dure e truci per questa o quell’altra fattispecie – è il gioco preferito da troppa politica.

Cerchiamo dunque di fare un po’ di chiarezza sul tema. La castrazione chimica può venire proposta quale punizione obbligatoria oppure liberamente scelta dal condannato (che può essere il componente del branco o il tifoso che molesta la giornalista). Già in passato, ad esempio nel marzo del 2018, la Lega aveva presentato una proposta di legge sul “trattamento farmacologico di blocco androgenico totale a carico dei condannati per delitti di violenza sessuale”. Secondo la proposta, il trattamento doveva venire disposto obbligatoriamente in caso di recidiva o di violenza sessuale su minori. Ma chiunque fosse stato condannato per reati sessuali poteva liberamente richiederlo. È tuttavia evidente come la posizione della persona condannata difficilmente consenta una scelta autenticamente libera.

Non entro nelle considerazioni di incostituzionalità relative alla possibilità di obbligare a trattamenti sanitari. Mi limito a guardare ai principi che dovrebbero governare la scelta delle pene. Gli argomenti per escludere la castrazione chimica dal novero delle pene accettabili, e che anzi la rendono un vero a proprio abominio, mi paiono molteplici. Ne cito alcuni.

1) È folle pensare a una pena che abbia carattere neutralizzante. Se castriamo chimicamente chi compie reati sessuali potremmo allora tagliare le mani a chi ruba (magari basta disfarsi di qualche dito per evitare i furti con destrezza), amputare un piede all’omicida stradale cosicché non possa più premerlo sull’acceleratore, magari cavare gli occhi all’evasore fiscale e al bancarottiere fraudolento affinché non possano più dedicarsi alla stesura di falsi documenti. La pena, che deve tendere alla reintegrazione sociale, deve togliere alla persona volontà e condizionamenti per ricommettere il reato, non parti del corpo fisico necessarie a compierlo.

2) La pena deve avere un carattere di generalità. Il codice penale italiano ha scelto a questo proposito come pena principale quella della reclusione. La sua durata più o meno lunga sarà modulata sulla scala dell’importanza del bene violato. Non possono esserci pene differenziate a seconda del delitto commesso. Costituirebbe un’inaccettabile violazione del principio di uguaglianza.

3) Le pene non possono consistere in trattamenti crudeli, inumani o degradanti. È una delle conquiste più importanti delle società moderne, uno dei grandi “mai più” che l’intero mondo ha sancito all’indomani degli orrori della seconda guerra mondiale. Tornare indietro anche di un solo passo è un’infamia che non si sa dove può condurre. La castrazione chimica è una pena corporale. Tornare alla pre-modernità sull’onda di incitazioni emotive è pericolosissimo.

4) Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato. La vita sessuale (e non entro qui nel merito dei possibili effetti dubbi o permanenti della castrazione chimica sulla salute di cui i medici discutono) è un elemento fondamentale della vita famigliare e relazionale. La sua preclusione è contraria alla finalità costituzionale delle pene.

5) La pena non può mai essere la somministrazione di una medicina. Il reo non è un malato (se non nei casi previsti dalla legge, che escludono di conseguenza la responsabilità penale). Lo stupratore ha scelto consapevolmente di stuprare, non è stato determinato dalle proprie pulsioni biologiche. Lo stupratore ha deciso in piena coscienza che il corpo di quella donna poteva essere violato ai fini del proprio piacere. Imputare questo atto agli ormoni del maschio significa cambiare le carte in tavola e assolvere gli uomini violenti dalle proprie responsabilità. Servono cultura ed educazione, non ormoni.

Mi auguro davvero che l’ennesima proposta leghista – e forse addirittura governativa – sulla castrazione chimica si risolva in una trovata estiva senza seguito, come già capitò a quelle passate. Che, ricordo, non sempre da destra sono arrivate. Ho in mente una conferenza stampa tenuta dal Partito Democratico nel 2008 nella quale si annunciava una proposta di legge che tra le altre cose introduceva l’obbligo di terapie nei reati di pedofilia. Oggi per fortuna ci sono nel Pd tutte le condizioni per rassicurarci su un’elaborazione capace di tenere sempre alta la riflessione sul tema. Tutta l’Italia democratica deve opporsi a ipotesi che mortificano la civiltà giuridica del nostro paese.

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