di Stefano Briganti

Il 22 agosto si terrà in Sudafrica il 15esimo summit Brics. Ricordo di aver saputo per la prima volta dei Brics quando, vent’anni fa, la multinazionale americana per la quale lavoravo mise a punto una strategia ad-hoc per cogliere le enormi potenzialità offerte da quelle allora dette economie emergenti. Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa erano paesi in grande crescita economica e perciò mercati estremamente appetibili. Non era una previsione sbagliata se oggi questi cinque paesi da soli generano il 30% del Pil mondiale, rappresentando oltre il 40% della popolazione del globo.

Brics non è una organizzazione di nazioni sul modello Ue o Nato, che sono strutture che si basano su degli standard univoci ai quali chi ne fa parte deve allinearsi. E’ un’organizzazione sul modello multipolare per la gestione dei rapporti dei paesi membri, dove ogni paese mantiene la sovranità completa e la gestione delle proprie politiche socio-economiche interne senza che venga richiesto loro un allineamento a regole o modelli comuni. Le relazioni sono sostanzialmente di tipo commerciale e si potrebbe pensare ad una sorta di mercato tra nazioni tipo quello Ue ma senza i vincoli monetari, finanziari e con i limiti di sovranità nazionale che caratterizzano il modello europeo.

Da dieci anni esiste una banca Brics, la New Development Bank, presieduta oggi dall’ex presidente brasiliana Dilma Rousseff, che non batte moneta non esistendo (per ora) una valuta unica usata dai paesi Brics, ma gestisce le operazioni e gli investimenti nelle valute degli Stati membri. È la Cina la portabandiera del modello multipolare supportato dai suoi “Global Development Initiative” e “Global Security Initiative” che si oppone al modello unipolare di matrice Usa-Ue. Nel 1945 a Bretton Woods il dollaro è diventata la valuta di riferimento utilizzata nelle operazioni commerciali globali. Per decenni il dollaro ha alimentato fondi d’investimento di paesi di tutto il mondo, gestiti da istituti finanziari americani. Ricordiamo i petrodollari sauditi del 1973 e il petrolio che viene commercializzato in dollari. Questo ha reso gli Stati Uniti la potenza economica dominante per quasi ottant’anni.

La politica estera americana negli ultimi decenni ha fatto un largo uso di sanzioni economiche come strumento di “soft power” per gestire le controversie. Il sistema si è rivelato molto efficace per gli Usa, essendo molto stressante per chi viene sanzionato poiché le operazioni chiave e gli investimenti di quel paese sono fatti in dollari. Il conflitto russo-ucraino e ancor prima quello Libia-Usa e Afghanistan-Usa hanno poi rivelato la semplicità e la velocità con la quale chi gestisce il biglietto verde può congelare fondi sovrani o impedire pagamenti di interessi su investimenti che compongono i debiti denominati in dollari provocando default nazionali.

I paesi Brics con la loro strategia di utilizzare le valute nazionali per investimenti e interscambi mitigano molto i rischi di essere soggetti a potenziali ricatti economici o sanzioni dagli Usa o dalla Ue. E’ forse proprio questo aspetto a rendere oggi interessante Brics, tanto che l’Argentina e l’Iran sono in procinto di entrarvi, mentre altri 14 Stati tra cui Arabia Saudita ed Emirati Arabi hanno fatto richiesta di adesione. Il modello unipolare e l’egemonia del dollaro sono messi in discussione come forse mai prima d’ora e gli Usa cercano di correre ai ripari blandendo l’India di Modi per tenerla nella propria sfera, fanno acrobazie con la Cina per “contenerla” senza rompere ma senza dimenticare di sventolare i propri muscoli militari, mirano alla fine della Federazione Russa con la guerra in Ucraina e cercano la sponda del Sud Africa per aumentare la presenza Usa in Africa.

Brics è una realtà in evoluzione e da seguire per intuire quale potrebbe essere il nuovo ordine mondiale alla fine della prima metà di secolo e l’esito della (solo?) ideologica battaglia “Democracy vs Autocracy” menzionata pubblicamente da Biden a marzo 2022.

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