Lavora per neanche due ore e mezzo, percepisce trenta euro lordi, ma si trova costretto a risarcirne all’Inps 15mila, ovvero tutto l’importo della sua pensione annuale. La vicenda paradossale è accaduta al signor Giuseppe G., 68enne di Pordenone che ha lavorato per una vita nel settore del commercio. Nel 2019 G. ha usufruito di Quota 100 e con oltre 42 anni di contributi ha presentato domanda di pensione, ottenendo un assegno mensile di 1.088 euro. Nonostante sapesse che, con l’adesione al programma, non avrebbe potuto sottoscrivere contratti di lavoro per i successivi cinque anni, nel 2020 ha effettuato un piccolo intervento a chiamata per un grande magazzino. Si trattava, in particolare, di un lavoro su alcuni scaffali per la durata di neppure due ore e mezzo. Che però gli sono costate care: una raccomandata dell’Inps gli ha contestato di aver sottoscritto un contratto di lavoro e quindi di aver perso il diritto alla pensione per tutta la durata del periodo a cui si riferiva il contratto, chiedendogli di restituire tutti i 15.500 euro percepiti nel 2020.

“La vicenda è grottesca“, commenta al fattoquotidiano.it l’avvocato Luca Scandurra di Pordenone, che assiste il pensionato. “Ho inviato un messaggio di posta elettronica certificata all’Inps chiedendo chiarimenti, anche perché secondo noi è stato calcolato erroneamente il recupero delle somme. Infatti, gli stipendi e le pensioni sono pignorabili – per un quinto – solo per la parte eccedente il minimo vitale, che è ora a 1.000 euro al mese”. In pratica, secondo il legale, il massimo che si potrebbe pretendere dal signor Giuseppe è un quinto di 88 euro ogni mese. “È la prima volta che mi trovo in una situazione del genere”, ammette Scandurra. “Dopo il periodo estivo cercherò di individuare le azioni più opportune da portare avanti per tutelare il mio assistito, alla luce delle caratteristiche del contratto di lavoro a chiamata e, soprattutto, dell’attività irrisoria che ha svolto, con una somma liquidata su cui ha pagato perfino le tasse”.

L’Inps ha prospettato al pensionato di operare una trattenuta in 120 mensilità, spalmando quindi il debito nei prossimi dieci anni. Intervistato dal Gazzettino di Pordenone, il 68enne ha spiegato di essere stato contattato nel 2020 da un conoscente per un piccolo lavoretto in un centro commerciale. “Gli dissi che non potevo, ma l’amministrazione di quel magazzino mi disse che quel lavoro era permesso perché non era compreso nei divieti imposti dall’Inps. Da settembre a gennaio ho lavorato in tutto due ore e venti minuti: un giorno per un’ora e trenta minuti, un altro giorno per quaranta minuti. Mi hanno anche pagato: trenta euro”. Il mondo gli è crollato addosso quando ha ricevuto la lettera dell’Inps. “C’è mancato poco che svenissi. Mi contestavano il fatto di aver lavorato con contratto due ore e venti minuti e siccome non potevo farlo, mi richiedevano indietro l’intero ammontare della pensione percepita nel 2020”. La chiusa è un commento amaro: “Avrei dovuto lavorare in nero, come fanno in molti, ma nella mia vita ho sempre cercato di essere onesto e leale e così sono rimasto fregato”.

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