“Le liste di proscrizione non mi piacciono e non servono: io credo che sia compito di questa Commissione dare ai partiti strumenti per evitare infiltrazioni criminali e lanciare allarmi sui reati contro la pubblica amministrazione. Stop. Presiedo l’Antimafia, non la commissione bravi ragazzi: sono scelte che spettano ai partiti, quelle di non mettere persone discutibili”. Così, intervistata dal Foglio, la presidente della Commissione parlamentare Antimafia Chiara Colosimo annuncia di voler cambiare entro le europee 2024 la normativa sui cosiddetti “impresentabili“, i candidati che l’organismo segnala al pubblico per i loro guai giudiziari (e che i partiti per primi dovrebbero impegnarsi a non mettere in lista). La deputata di FdI se la prende con la versione attuale del Codice di autoregolamentazione sulle candidature, approvata nel 2019 dalla vecchia Commissione, presieduta dal senatore ex M5s Nicola Morra: “Se lo avessi fatto io lo avrei fatto in un altro modo. Mettervi dentro la diffamazione, il cumulo di reati sopra ai quattro anni dentro cui magari c’è una condanna per rissa o la legge Mancino mi sembra fuori luogo”, dice. Dimostrando, però, di non aver letto il Codice in vigore o di averlo letto un po’ troppo in fretta. Perché la diffamazione e la legge Mancino sono sì citate nel testo, ma proprio per escludere che una condanna per quei reati possa portare in qualsiasi modo alla dichiarazione di “impresentabilità”. Insomma, la crociata lanciata dalla neo-presidente è fondata sul nulla.

Al momento, infatti, il Codice di autoregolamentazione prevede che i partiti si impegnino “a non presentare e nemmeno a sostenere” candidati rinviati a giudizio o condannati per un elenco di gravi reati: fattispecie di mafia e criminalità organizzata, reati contro la pubblica amministrazione, societari, ambientali, riciclaggio e autoriciclaggio. Tra questi, ovviamente, non compaiono né la diffamazione né i reati “d’opinione” previsti dalla legge Mancino, che punisce l’incitamento all’odio, l’incitamento alla violenza, la discriminazione e la violenza per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali, nonché l’utilizzo di emblemi o simboli di organizzazioni che predicano quelle ideologie. Colosimo però sembra riferirsi a un’altra norma, quella sul “cumulo“, in base al quale sono considerati impresentabili anche i candidati nei confronti dei quali “siano state emesse (…) condanne irrevocabili per reati, consumati o tentati, non colposi a pene che cumulate superino i quattro anni”. In teoria, quindi, a raggiungere la soglia potrebbero contribuire anche la diffamazione o i reati della legge Mancino. Ma questa possibilità è esclusa in modo esplicito dal periodo successivo: “Nel cumulo non si tiene conto delle condanne riportate per i seguenti reati: diffamazione (art. 595 c.p.); manifestazione esteriore od ostentazione, in pubbliche riunioni, di emblemi o simboli propri o usuali delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi di cui” alla legge Mancino, nonché “propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa”.

La modifica che vorrebbe apportare l’esponente di FdI, insomma, è già in vigore. Ed è stata introdotta da un emendamento – ai tempi molto contestato – del grillino Mario Michele Giarrusso e dal leghista Gianluca Cantalamessa. Nella relazione al codice la scelta è spiegata così: “La maggioranza in Commissione si è orientata per l’introduzione di tali puntuali esclusioni in ragione della natura dei reati di opinione, che non si ritiene debbano sortire effetti ai fini della candidabilità. Infatti, per quanto possano ritenersi riprovevoli le manifestazioni che istigano all’odio razziale e alla discriminazione, le si ritiene estranee alla logica di insieme che la Commissione è chiamata a seguire ai sensi della competenza attribuitale dalla legge istitutiva”. Per quanto riguarda l’esclusione della diffamazione, invece, si ricorda che, “sebbene sia il delitto che presidia l’onorabilità del singolo dagli indebiti ed illeciti attacchi portati dai terzi, la condotta diffamatoria si caratterizza pur sempre per essere il più classico dei limiti oggettivi penali alla manifestazione libera del proprio pensiero, tutelata dall’articolo 21 della Costituzione“. Ribattendo alle polemiche, l’ex presidente Morra aveva ricordato come non ci fosse “nessuna sanatoria o stralcio dal codice Antimafia per i reati sulla discriminazione razziale, etnica o religiosa. Non erano contemplati prima e non lo sono neanche ora. La mia storia personale dice chiaramente quanto mi faccia schifo il razzismo. Ma questo tipo di reati non è mai rientrato né in passato, né oggi, nel codice degli impresentabili dal punto di vista della commissione Antimafia”, aveva chiarito. Ora serve solo che qualcuno lo dica a Colosimo.

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