La sua carriera politica va a gonfie vele. E’ stato sindaco, eurodeputato, senatore, sottosegretario e adesso è il vicepresidente della Regione, il potente assessore alla Salute e il luogotenente di Silvio Berlusconi in Lombardia. In un futuro non molto lontano ambisce a diventare ministro oppure governatore. Il sogno di Mario Mantovani, classe 1950, s’infrange all’alba del 13 ottobre 2015, quando la Guardia di finanza suona il citofono della sua lussuosa casa di Arconate e lo conduce nel carcere di San Vittore, dove passerà quaranta giorni prima di ottenere i domiciliari. Tornerà libero nell’aprile 2015. Da allora passano sette anni e mezzo, tre diverse inchieste e un lunghissimo elenco di capi d’imputazione: corruzione, concussione, turbativa d’asta, abuso d’ufficio, peculato, appropriazione indebita, evasione fiscale e autoriciclaggio. Ma l’ex vicegovernatore lombardo sarà assolto da tutti. L’unica condanna in primo grado – cinque anni e sei mesi inflitti dal Tribunale di Milano per corruzione e turbativa d’asta – verrà spazzata via in appello, riconsegnandogli la piena agibilità politica.

Oggi, dopo la rottura con Forza Italia e il trasloco nel partito di Giorgia Meloni, all’età di 73 anni, è pronto per un ritorno con il botto e annuncia, con nove mesi d’anticipo, la candidatura al parlamento europeo. Obiettivo: stabilire il nuovo record di preferenze nella circoscrizione Nord-ovest ed entrare a Strasburgo come primo degli eletti. Per il grande giorno ha convocato lunedì 24 luglio sindaci e amministratori della provincia di Milano in una dimora signorile che negli anni delle inchieste fu a lungo sottoposta a sequestro preventivo: Villa Clerici di Cuggiono, un edificio del ‘700 nel cuore della Valle del Ticino con un parco immenso impreziosito dal prato all’inglese e da alberi secolari.

I big di Fratelli d’Italia che vogliono correre alle Europee dell’anno prossimo sono preoccupati. Sanno che Mantovani, imprenditore delle case di riposo per anziani e prima delle colonie estive per ragazzi, detiene un ingente pacchetto di preferenze e temono che con lui in campo sarà ancora più dura ottenere un seggio. L’ex vicegovernatore lombardo dispone di un database che nel corso dei decenni si è arricchito di migliaia di nomi e in occasione delle elezioni i suoi uffici si mettono al lavoro con lettere, mail e telefonate. Nel centrodestra chiamano il suo comitato elettorale “la macchina da guerra”.

La mente corre al 1999, quando si candida la prima volta in Europa. Mantovani è uno sconosciuto e nessuno scommette sulla sua vittoria. Nella lista di Forza Italia ci sono nomi ‘pesanti’: Berlusconi e il suo braccio destro Marcello Dell’Utri, ma anche Mario Mauro di Comunione e Liberazione, i giornalisti Jas Gawronski e Livio Caputo, l’ex presidente della Juventus Gianpiero Boniperti, l’ex ministro Raffaele Costa e Guido Podestà, già numero due di Edilnord e futuro presidente della Provincia di Milano. Mantovani stupisce tutti e viene eletto con 37 mila preferenze, che cinque anni dopo diventano 48 mila.

Da lì in poi non si ferma più. Entra nel cerchio magico di Berlusconi (offrendosi di assistere la celeberrima mamma Rosa) e nel 2008 diventa senatore e sottosegretario alle Infrastrutture. Nel frattempo, per non farsi mancare nulla, si candida a sindaco nel suo paese natale, Arconate, restando in carica per tredici anni. Poi nel 2013 decide di tornare in Lombardia, dove mette a segno un altro colpo: 13 mila preferenze, raccolte nella sola provincia di Milano. Una performance che gli vale il ruolo di vicegovernatore e di assessore alla Salute, nonostante una scia infinita di polemiche per il conflitto d’interessi: Mantovani è a capo di un impero che si occupa di assistenza agli anziani e le onlus a lui riconducibili incassano milioni di euro all’anno di contributi pubblici dal Pirellone. Ma lui è un intoccabile, perché è il braccio destro di Berlusconi, gli gestisce l’agenda ed è tra i pochissimi ad avere accesso diretto ad Arcore. Per il Cavaliere organizza persino pullman di cittadini, quasi tutti anziani: la mattina partono dai paesini della provincia e si presentano davanti al Tribunale di Milano per protestare contro i giudici che pretendono di processare Silvio.

Poi però tocca a lui rispondere alla giustizia. I magistrati gli contestano di tutto: dalla corruzione di un architetto che lavora per lui ma viene pagato con commesse pubbliche alla concussione di un funzionario del ministero delle Infrastrutture per non rimuovere un dirigente indagato, dall’aver truccato una gara per il trasporto degli ammalati dializzati alla casa di riposo di Arconate, un affare da 12 milioni di euro con Mantovani nel doppio ruolo di sindaco e di imprenditore occulto. Non solo, i falsi affitti per drenare soldi dai bilanci delle onlus, l’autoriciclaggio attraverso l’acquisto di immobili (intestati a una fiduciaria che possiede 11 milioni tra case e terreni). E per finire una seconda accusa di corruzione all’interno di un’inchiesta di mafia per il rapporto con il costruttore Antonino Lugarà, l’uomo che curava gli interessi dei clan della ‘ndrangheta a Seregno, nel cuore della ricca Brianza, dove Mantovanivanta rapporti politici e raccoglie una cospicua fetta dei suoi voti.

Bisogna ammetterlo. Ci vuole carattere per reggere l’urto di tre inchieste che rimbalzano sui media nazionali e che in poche settimane distruggono le ambizioni di uno dei politici più in vista nel centrodestra. Mantovani urla la sua innocenza, querela i giornalisti e li trascina in costosissime cause civili, combatte come un leone dentro e fuori le aule di tribunale. Alla fine vince: un’archiviazione per la corruzione nell’inchiesta di Monza, un proscioglimento per la questione dei reati fiscali, un’assoluzione in appello con formula piena per le accuse di corruzione, concussione e turbativa d’asta e una prescrizione per una vicenda minore. Siamo nel luglio 2022. Nel frattempo l’ex vicegovernatore ha rotto con Forza Italia che gli ha negato una candidatura alle Politiche 2018 e ha fondato, assieme a Daniela Santanchè, il movimento Noi Repubblicani, preludio all’adesione a Fratelli d’Italia.

Il suo rapporto con Giorgia Meloni non è idilliaco, lontano anni luce dal legame che riuscì a stabilire con Berlusconi ai tempi d’oro, quando insieme al telefono lottizzavano i Cda degli enti pubblici lombardi e procuravano posti di lavoro agli amici. Ma ottiene comunque qualche risultato degno di nota. Il primo è portare sua figlia Lucrezia (la quale non mai fatto un giorno di militanza politica) in parlamento, sia nel 2018 sia nel 2022. Il secondo è piazzare in consiglio regionale un suo fedelissimo, l’ex sindaco di Turbigo Christian Garavaglia, al quale trasferisce una parte significativa dei suoi voti: sarà il primo degli eletti.

Adesso lavora al terzo obiettivo, il più importante: l’elezione al parlamento europeo con una valanga di preferenze. Se ci riuscirà, sarà l’inizio della sua seconda vita politica. E c’è già chi giura che l’Europa comincerà presto a stargli stretta. A lui non sono mai piaciuti gli scranni di rappresentanza. Preferisce la gestione del potere: a Roma nelle stanze del governo, a Milano ai piani alti di Palazzo Lombardia. Incarichi che oggi gli sono preclusi, domani si vedrà.

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