La liberazione di Patrick Zaki non è frutto di una eccellente azione diplomatica, né di una capacità politica particolare del Governo italiano, ma il risultato di una straordinaria mobilitazione civile a difesa dei diritti umani nel nostro paese che ha fatto sì che il suo caso divenisse oggetto di tensione tra l’Italia e l’Egitto. Se non fosse stato per questa mobilitazione straordinaria il suo destino, come quello di migliaia di cittadini egiziani, non sarebbe stato di alcun interesse per il governo italiano, né tanto meno per quello egiziano.

Oggi è quindi un giorno di festa per tutti e tutte noi, non solo perché Patrick è di nuovo libero, ma anche perché la sua liberazione ci dà speranza che ogni azione a difesa dei diritti non sia sprecata, come spesso in questi anni bui abbiamo temuto. Abbiamo lottato per la sua libertà ma in realtà stavamo lottando per la nostra, per la paura di finire in un futuro distopico in cui i diritti e le libertà di cui godiamo oggi lasciano il passo alla barbarie della dittatura.

Un mondo in cui la vita di un cittadino egiziano, ancor di più se appartenente alla minoranza copta, non vale nulla per il potere che la controlla. E invece siamo qui a sperare ancora, a coltivare l’idea di un futuro utopico in cui libertà e democrazia avanzano nel mondo unendo in primo luogo i popoli del Mediterraneo.

Viviano in un periodo di regressione democratica: se la fine del secolo scorso è stata caratterizzata da una espansione del modello democratico nel mondo, l’inizio di questo è stato segnato dalla caduta di Stati democratici, colpi di Stato e, più in generale, anche in paesi dove non c’era democrazia, a un crollo della condizione materiale dei diritti delle persone. Per questo la notizia che uno di noi è stato liberato, uno di quelli che si batte per questi valori e che ha pagato con il carcere l’avere espresso liberamente le proprie idee, ci rende felici e ci restituisce un po’ di fiducia nelle nostre possibilità.

Ma c’è una cosa che non possiamo ignorare neanche in questo giorno di festa: la liberazione di Patrick non è il segnale di un cambiamento, di un miglioramento della condizione di vita dei cittadini egiziani, al contrario e stata usata dal regime di al-Sisi per lanciare un messaggio chiaro all’interno e all’esterno del Paese. Il messaggio molto chiaro è che della vita di un cittadino egiziano decide lui, che può decidere anche quando far finire un processo farsa perché è arrivato il momento di utilizzare quella vita come merce di scambio sul piano delle relazioni diplomatiche. Il gesto di magnanimità di al-Sisi altro non è che questo, un modo per dare un segnale a un governo italiano più disponibile di altri a barattare la propria dignità, la sua credibilità e il suo ruolo nel Mediterraneo.

È evidente che al-Sisi avesse in mente questo da molto tempo, che il ricatto a cui ci sottoponeva prevedeva la libertà di Zaki in cambio della giustizia su Regeni. Ha aspettato il momento giusto, ha costruito la giusta tensione con i continui rinvii del processo, fino a quando ieri, in vista della prossima visita di Giorgia Meloni in Egitto, ha fatto la sua mossa.

Questo governo si è mosso in piena continuità sulla politica estera e in particolare sui rapporti con l’Egitto di quelli che l’hanno preceduto. Tutti hanno sostanzialmente lavorato alla normalizzazione dei rapporti diplomatici e commerciali in nome di un realismo politico che cancella il valore della vita umana in nome di “interessi nazionali” che finiscono sempre per confondersi con gli “interessi economici”.

Ma questo governo ha calato la maschera, è più spregiudicato, e ha avuto la strada spianata da quelli che l’hanno preceduto. Il caso Regeni è stato ormai derubricato a una questione solo giudiziaria, da parte del governo italiano non vi è più alcuna intenzione di condizionare le relazioni tra i nostri paesi in funzione della collaborazione del regime egiziano ad avere giustizia per l’omicidio di Giulio Regeni. Condonati anche i tentativi di depistaggio e la protezione dei responsabili del rapimento e delle torture non resta che farsene una ragione.

Ma noi no, una ragione non ce la faremo, continueremo a batterci per la giustizia, la democrazia, i diritti e la libertà di tutte e di tutti i Giulio Regeni e i Patrick Zaki del mondo e da oggi avremo la fortuna di farlo insieme a Patrick, che con il suo corpo e soprattutto con la sua voce non ha mai smesso di farlo.

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