Quando nel 2017 il governo Gentiloni firmò il controverso memorandum con la Libia, in estate gli sbarchi registrarono la prima, significativa riduzione, passando dagli oltre 23 mila di giugno ai 3.920 di agosto. E’ questa la sfida al centro del memorandum d’intesa appena sottoscritto dall’Unione europea con la Repubblica tunisina, che già alla vigilia della firma il nostro governo rivendicava assicurando che “il blocco navale lo stiamo facendo con l’accordo con la Tunisia”. Un accordo raggiunto grazie all’impegno della premier italiana Giorgia Meloni, tornata a Tunisi per la terza volta in poche settimane accanto alla presidente della Commissione Ue Ursula Von del Leyen e al premier olandese uscente Mark Rutte. L’Unione si impegna a sostenere la crescita economica della Tunisia anche rafforzando la cooperazione commerciale tra la Ue e il Paese nordafricano. La contropartita è il contrasto alle partenze dei migranti che nel 2023 hanno superato quelle dalla Libia, con l’Italia che proprio in queste ora ha toccato la soglia degli 80.000 arrivi da inizio anno, contro i 105 mila arrivati nell’intero 2022. Ma sul controllo delle frontiere il presidente tunisino Kais Saied ha tenuto il punto, confermando l’intenzione di voler presidiare “solo le proprie”. E così quella di “non essere un Paese di insediamento per i migranti irregolari”, riporta la Commissione Ue nel comunicato sull’accordo. Quanto ai migranti già entrati in Italia, Tunisi accetta di rimpatriare solo i suoi connazionali. Una questione di soldi, in gran parte ancora vincolati, e di numeri, quelli degli sbarchi. Quanto alle persone e ai diritti, al di là dei proclami sul “rispetto dei diritti umani” non c’è nulla. E dopo che nelle scorse settimane migliaia di subsahariani sono stati deportati verso le zone desertiche ai confini con Libia e Algeria, si moltiplicano gli attacchi al memorandum e le accuse all’Unione europea di avallare i comportamenti di Tunisi.

L’accordo c’è, ma i dettagli non sembrano esattamente un “obiettivo raggiunto”, come dice Meloni. Intanto i soldi europei non sono già tutti sul tavolo. I 150 milioni dati per certi al fine di rilanciare l’economia di un Paese tuttora a rischio default dovranno comunque essere approvati da tutti i 27 in sede di Consiglio Ue. Mentre il grosso, 900 milioni di euro, resta vincolato a un accordo con il Fondo monetario internazionale tuttora in alto mare perché Saied non accetta le riforme che comporta. Di sicuro ci sono i 105 milioni per il capitolo “migrazione e mobilità”, ma non si tratta certo di trasformare la Tunisia nel famoso Paese terzo dove rimandare non solo i tunisini, ma anche gli altri migranti salpati dalle sue coste. Saied accetta infatti di rimpatriare solo i suoi concittadini. Una clausola già presente negli accordi bilaterali in vigore tra Roma e Tunisi e oggi ancor meno significativa visto che quest’anno i tunisini sono solo 5 mila sugli oltre 40 mila migranti sbarcati e partiti dalla Tunisia. I desiderata dell’Europa sono altri e nel Consiglio europeo del 9 giugno i 27 hanno spinto per inserire nel futuro Patto Ue su immigrazione e asilo la possibilità di reinsediare gli irregolari in Paesi terzi considerati sicuri, anche se non sono quelli di origine. Il modello è l’accordo con la Turchia, ma Saied non pare disponibile: “Non saremo il centro di raccolta degli irregolari respinti dall’Unione europea”, ha ribadito più volte. Per i migranti non tunisini, dunque, il memorandum si limita all’annuncio di “un sistema di identificazione e di rimpatrio dei migranti irregolari già presenti nel Paese verso i loro Paesi di origine”. Termini di un “partenariato operativo rafforzato” contro il traffico di migranti annunciato ad aprile ma ancora in discussione. Ad ora sul tavolo ci sono solo 15 milioni di euro, sui 105 totali stanziati dall’Ue per la questione migratoria, da destinare a circa 6 mila rimpatri volontari di persone già presenti in Tunisia grazie alla collaborazione delle agenzie delle Nazioni Unite. Un numero piuttosto piccolo anche solo se confrontato con i 10.000 migranti fermati dalla guardia costiera tunisina in meno di tre mesi, dal primo gennaio al 20 marzo, e senza contare i circa 25 mila che sono riusciti a raggiungere l’Italia nello stesso periodo.

Tuttavia, ciò che importa davvero alla Commissione e soprattutto all’Italia è la capacità della Tunisia di bloccare le partenze, come fece la Libia ai tempi del memorandum dell’allora ministro dell’Interno Marco Minniti. Per questo saranno consegnate a Tunisi 17 imbarcazioni e 8 navi da lanciare all’inseguimento dei barchini. L’attuale ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, prima della firma dell’accordo aveva detto che “il blocco navale lo stiamo facendo con l’accordo la Tunisia”. Toccherà attendere i numeri, ma se in Libia il traffico di esseri umani è da sempre in mano alle milizie, comprese quelle direttamente in mano a membri del Governo di unità nazionale di Tripoli, in Tunisia i flussi si muovono in modo decisamente più frammentato, con reti di trafficanti più piccole e difficili da controllare. Dopo la rivolta dei residenti contro i subsahariani a Sfax, seconda città tunisina e principale porto di partenza dei migranti verso l’Italia, le autorità hanno deportato centinaia di persone, anche oltre i confini verso Libia e Algeria. Ma a quanto dichiarato dai migranti sbarcati in Italia negli ultimi giorni, le partenze si sono già riorganizzate e si salpa anche da Boughrara, Chebba, Madhia e Sidi Mansour. Per questo non è scontato che i soldi dell’Ue a Tunisi avranno lo stesso risultato dell’accordo siglato dall’Italia con la Libia. Inoltre, l’allargamento della flotta tunisina non significa l’obbligo di operare oltre le proprie acque territoriali, visto che la Tunisia non ha una zona SAR (search and rescue) ufficialmente riconosciuta che le imponga la collaborazione con gli altri stati costieri del Mediterraneo centrale nelle operazioni di salvataggio.

Non ultima, la questione dei diritti umani in un Paese che l’Europa continua a considerare sicuro dove però la condizione degli stranieri è sempre più a rischio. Lo stesso Saied ha più volte dichiarato di voler contrastare la “sostituzione etnica” della Tunisia per mano di un “complotto” che vorrebbe l’africanizzazione del Paese. E le recenti deportazioni dei subsahariani, abbandonati a centinaia, senz’acqua né cibo, nelle aree desertiche al confine con Libia e Tunisia, non lasciano ben sperare. Dubbi sull’accordo sono stati avanzati dal Consiglio d’Europa mentre l’ufficio di Amnesty International presso le istituzioni europee ha dichiarato che l’accordo, “comporterà una pericolosa proliferazione di politiche migratorie già fallimentari e segnalerà l’accettazione da parte dell’Unione europea di un comportamento sempre più repressivo da parte del presidente e del governo di Tunisi”. Insomma, secondo Amnesty “l’accordo con la Tunisia rende l’Unione europea complice di violazioni dei diritti umani dei richiedenti asilo”. Anche a Tunisi, dove già nei mesi scorsi le organizzazioni della società civile si erano opposte al memorandum chiedendo trasparenza sui termini dell’intesa, la ong Forum tunisino per i diritti economici e sociali ha annunciato “un summit militante dal titolo “Incontro dei popoli contro le politiche migratorie europee disumane e in solidarietà con i migranti”, in programma nella capitale il 20 e 21 luglio, proprio alla vigilia dell’incontro sull’immigrazione organizzato dal governo italiano per il 23 luglio a Roma. Nel controvertice a Tunisi si riuniranno organizzazioni, sindacati e movimenti provenienti da Tunisia, Algeria, Libia, Marocco, Niger, Mali ed Europa. “Mentre i leader politici si riuniscono a Roma per limitare ulteriormente il diritto di movimento, espellere i migranti, violare i diritti dei rifugiati e legittimare le politiche del neocolonialismo per i popoli del Sud del mondo, ci incontriamo a Tunisi per l’umanità, la dignità, la libertà e per i diritti di tutti”, scrive la ong tunisina nel comunicato.

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