Si sta trasformando in una crisi umanitaria la sequela di espulsioni dei migranti subsahariani che le autorità tunisine continuano ad abbandonare nelle zone desertiche ai confini con la Libia e l’Algeria. Migliaia le persone che secondo le organizzazioni umanitarie vengono deportate e lasciate senza acqua né cibo, comprese donne e bambini. Il presidente tunisino Kais Saied ha respinto duramente le accuse di trattamenti disumani nei confronti dei migranti, parlando di illazioni “degli ambienti coloniali” che “seminano zizzania attraverso i social network trasformati in strumenti di propaganda per destabilizzare il Paese”. Da giorni, infatti, girano foto e video che testimonierebbero le dure condizioni dei migranti espulsi dalla Tunisia. Ma proprio mentre Saied si scaglia con organizzazioni come Human Rights Watch, sale anche l’attenzione dei media internazionali che mostrano in diretta le immagini degli espulsi sulle sponde a Sud del Mediterraneo e rilanciano le loro testimonianze.

Risale al 2016 la barriera eretta tra Tunisia e Libia per arginare il terrorismo islamico e i traffici tra i due Stati. Va dal villaggio di Ras Agedir sulla costa del Mediterraneo e percorre 200 chilometri fino alla città di Dehiba. Un deserto di sabbia e canali artificiali che in questi giorni si è trasformato nell’inferno per migliaia di subsahariani, compresi studenti e rifugiati, per lo più espulsi dalla città di Sfax dove da una settimana è salita la tensione tra residenti e stranieri, con l’uccisione, lunedì scorso, di un tunisino. Nella città, principale porto di partenza dei migranti che prendono il mare per raggiungere l’Italia, sono migliaia gli africani di varie nazionalità sloggiati dalle loro abitazioni. Molti denunciano di essere stati privati di documenti e denaro e di non avere nemmeno i soldi per comprare l’acqua, come confermano i tunisini solidali intervistati dall’emittente francese France24 mentre distribuivano acqua e cibo. Il Paese, alle prese con un probabile default finanziario che ha già fiaccato la popolazione, ha visto le autorità, compreso il presidente Saied, denunciare nei mesi scorsi la presenza degli stranieri subsahariani che sarebbero parte di un piano per “africanizzare” la Tunisia. In un’area come quella di Sfax l’insofferenza è sfociata in scontri e manifestazioni dei residenti contro i migranti, che in molti casi si sono dati alla fuga prendendo d’assalto i mezzi di trasporto, mentre già nei mesi passati erano aumentate le persone che decidevano di tornare nel Paese d’origine proprio per il clima creatosi e, denunciano le organizzazioni come la Lega tunisina per la difesa dei diritti umani, fortemente alimentato dai media nazionali.

Per stessa ammissione del governo, già nei giorni scorsi era stata confermata l’espulsione da Sfax verso le frontiere di almeno 1.200 persone “dal 28 giugno a oggi”. Il ministro degli Interni tunisino Kamel Feki e il suo omologo libico Mustafa Trabelsi si sono sentiti ieri per affrontare insieme il problema degli “attraversamenti illegali” dei migranti, e i rispettivi ministri degli Esteri hanno ribadito la volontà di affrontare la questione dei subsahariani al confine tra i due Stati “nel pieno rispetto delle normative vigenti nei due Paesi e in conformità con le leggi e gli standard internazionali”. Ben diversa, invece, la situazione che si è trovato di fronte il reporter di Al Jazeera, Malik Traina, che ha raggiunto la zona costiera di Ras Agedir per incontrare e filmare le migliaia di persone espulse nell’area e ormai lì da giorni (video). “Abbiamo dovuto bere l’acqua di mare”, racconta uno di loro ai microfoni del giornalista, mentre alle sue spalle si vedono donne con bambini piccoli e persone ferite cui serve assistenza. Il governo tunisino ha detto che non intende lasciar rientrare queste persone. “Serve una soluzione a livello internazionale: i paesi d’origine, di transito e di destinazione in Europa così come le organizzazioni internazionali devono collaborare e finanziarci”, ha riassunto Moez Barkallah, deputato tunisino fedele al presidente Saied. Intanto “i militari hanno picchiato i migranti e sparato colpi di fucile in aria”, racconta la ricercatrice di Human Rights Watch, Lauren Seibert, che rimane in contatto diretto con alcune degli espulsi ricevendo informazioni e video. Lo stesso, denuncia la ong, fanno i militari libici per impedire loro di entrare in Libia. Col risultato che in migliaia rimangono bloccati in questa terra di nessuno. “Abbiamo chiesto alla Tunisia di fermare immediatamente le espulsioni collettive verso le zone deserte al confine con Libia e Algeria, ma ad oggi non ci è stata data alcuna risposta né motivazione ufficiale”, ha detto Seibert.

Nel frattempo in Italia il conto degli sbarchi ha superato quota 70 mila, dove più della metà sono persone partite dalla Tunisia e in particolare da Sfax. Così nelle ultime 24 ore, con la Guardia costiera che ha soccorso più di 150 persone per quattro diversi approdi a Lampedusa. La maggior parte provenienti da Camerun, Burkina Faso, Costa d’Avorio e Guinea. Ma dalla Tunisia, ha ribadito il procuratore capo di Agrigento Salvatore Vella, continuano ad arrivare anche migliaia di tunisini, a dimostrazione dell’instabilità del Paese. Tunisi non ha ancora disincagliato il negoziato col Fondo Monetario Internazionale per un piano finanziario di salvataggio da 1,75 miliardi a causa di riforme e tagli ai sussidi statali che Saied non accetta, e le attuali tensioni hanno costretto anche la Commissione europea a fare dei distinguo ribadendo che il rispetto dei diritti umani è condizione fondamentale per giungere alla firma del memorandum tra Ue e Tunisia, che dovrebbe implementare anche la collaborazione sulla questione migranti. Un accordo sul quale punta soprattutto l’Italia. Ma i fatti dell’ultima settimane mettono una seria ipoteca sulla scommessa del governo Meloni per quello che a suo dire dovrebbe essere un “accordo modello”. Nel frattempo sembra che le forze di sicurezza di Rabiana, un’area remota nell’estremo sud-est della Libia, abbiano smesso di intercettare i migranti che puntano alle coste libiche sul Mediterraneo dopo la fuga dal Sudan, dove è in corso una guerra civile. Il funzionario a capo della Direzione per la sicurezza di Rabiana ha dichiarato alla Agenzia Nova che “le forze di sicurezza locali non hanno le capacità, né i fondi o gli alloggi necessari per far fronte a questo flusso di sfollati in arrivo dal Sudan”. Denunciando che “le autorità di Tripoli hanno smesso di erogare fondi, motivo per cui le forze di sicurezza locali hanno smesso a loro volta di intercettare i migranti”. Sottolinea di essersi recato a Tripoli più di una volta “per ottenere sostegno, senza però aver ottenuto forze aggiuntive”.

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