Un nuovo farmaco sembra rallentare il decorso dell’Alzheimer, frenando il declino cognitivo, tipico tratto della malattia. Lo dimostra lo studio dell’Università della California, San Francisco pubblicato sul Journal of the American Medical Association (Jama). Si avvertono, nell’attesa dell’approvazione di donanemab, il terzo nuovo farmaco per l’Alzheimer, da parte della Food and Drug Administration, i progressi scientifici nella lotta all’ Alzheimer.

“I farmaci funzionano meglio per le persone nelle prime fasi della malattia e saranno necessarie altre terapie per aiutare le persone in stadi avanzati”, ha detto Gil Rabinovici, direttore del Centro di Ricerca sulla Malattia di Alzheimer dell’Università della California, San Francisco affiliato al Centro Memoria e Invecchiamento, ai dipartimenti di Neurologia, Radiologia e Imaging Biomedico dell’Università della California, San Francisco e al Weill Institute for Neurosciences. “Questo è probabilmente solo il capitolo iniziale di una nuova era di terapie molecolari per la malattia di Alzheimer e per i disturbi neurodegenerativi correlati”, ha detto Rabinovici, non ha partecipato alla sperimentazione.

Donanemab è un anticorpo monoclonale, come i due precedenti farmaci per l’Alzheimer, aducanumab e lecanemab. Questi medicinali attaccano le placche cerebrali che sono costituite da una proteina chiamata amiloide; disturbano la funzione delle cellule e portano alla rapida diffusione di un’altra proteina chiamata tau. Sia l’amiloide che la tau contribuiscono allo sviluppo della malattia di Alzheimer. Lo studio ha dimostrato che donanemab ha rallentato il declino cognitivo del 35% rispetto al placebo, in pazienti con livelli di tau nel cervello da bassi a medi. Questi risultati sono simili a quelli ottenuti con Leqembi, che ha ricevuto l’approvazione della Food and Drug Administration (Fda) all’inizio di questo mese. Nello studio con donanemab, i pazienti hanno anche registrato un rischio inferiore del 40% per la progressione dal decadimento cognitivo lieve alla demenza lieve o dalla demenza lieve a quella moderata. Donanemab si è affermato come il migliore farmaco in circolazione per la rimozione delle placche amiloidi, anche rispetto ad Aduhelm e Leqembi.

Il medicinale ha ridotto le concentrazioni di tau nel sangue, ma non in un’area chiave del cervello. I pazienti in uno stadio di malattia più avanzata hanno mostrato pochi o nessun beneficio rispetto a quelli che hanno ricevuto il placebo. “Insieme agli effetti collaterali potenzialmente gravi del farmaco, questo dovrebbe spingere gli esperti a puntare più in alto nello sviluppo di trattamenti più efficaci e sicuri”, ha scritto Rabinovici, Il donanemab dovrebbe essere limitato ai pazienti con livelli di tau da bassi a medi, che indicano una malattia lieve. Altri studi stanno valutando l’efficacia degli anticorpi monoclonali nella fase iniziale della malattia, prima della comparsa dei sintomi. Come i due farmaci precursori per l’Alzheimer, donanemab è stato associato ad Aria (Amyloid-related imaging abnormalities), ovvero ad anomalie di imaging legate all’amiloide che possono includere gonfiore cerebrale e microemorragie. L’Aria grave, compresi tre decessi, si è verificata nel 3,7% dei pazienti.

I rischi erano più elevati tra i pazienti con il gene APOE4, che è legato a una maggiore probabilità di contrarre l’Alzheimer. “Per questo motivo – ha detto Rabinovici – i test genetici dovrebbero essere raccomandati prima del trattamento con anticorpi monoclonali”. Sebbene l’Aria sia stata generalmente gestita in modo sicuro negli studi clinici, Rabinovici ha invitato alla cautela nel momento in cui questi farmaci entreranno in commercio e ha suggerito di limitare l’accesso ai pazienti con risonanze magnetiche normali prima del trattamento, di ripetere le scansioni a intervalli regolari e di interrompere o sospendere il trattamento quando si verifica l’Aria. Una delle principali limitazioni dello studio è stata la mancanza di diversità. Solo l’8,6% dei 1.251 partecipanti statunitensi non era bianco. “Lo studio solleva preoccupazioni etiche circa la generalizzabilità dei risultati sulle popolazioni a più alto rischio, mostrando tassi più elevati di demenza nelle popolazioni nere e latine”, ha detto Rabinovici. “Dati gli elevati costi del donanemab e l’enorme domanda da parte dei pazienti, potrebbe avere senso limitare la durata del trattamento al tempo necessario per eliminare le placche amiloidi dal cervello”, ha detto Rabinovici. “Questo – ha concluso Rabinovici – potrebbe migliorare notevolmente la fattibilità delle cure per malati, medici, assicuratori e sistemi sanitari”.