“Si è reso conto che la giovane e disinibita Carol Maltesi si era in qualche misura servita di lui per meglio perseguire i propri interessi personali e professionali e che lo avesse usato e ciò ha scatenato l’azione omicida”. Così i giudici del Tribunale di Busto Arsizio spiegano – scatenando le polemiche – perché hanno ritenuto che non vi fossero motivi futili o abietti nell’omicidio della 26enne uccisa con martellate e coltellate alla gola l’11 gennaio 2022 dal bancario Davide Fontana, condannato a 30 anni di carcere e non all’ergastolo, come era stato richiesto dal pubblico ministero. Ne fece a pezzi il corpo che tenne per settimane in un freezer ordinato su Amazon, poi provò a bruciarlo con un barbecue per poi gettarlo in un burrone nel Bresciano, fino a quando un passante, per puro caso, segnalò a fine marzo dei sacchi dell’immondizia già dal dirupo. Lì dentro c’era il corpo di Maltesi, madre di un bimbo di sei anni. Per i giudici non ci fu premeditazione e nemmeno le aggravanti dei motivi futili o abietti e della crudeltà. “La sentenza offende profondamente tutte le donne e non rende giustizia a Carol e a chi come lei è stata vittima di un femminicidio”, commenta in una nota la Casa Internazionale delle Donne. Per Simona Lanzoni, vice presidente di Fondazione Pangea Onlus e coordinatrice della Rete Reama, “lede i diritti umani di una donna morta per femminicidio“.

La Corte ritiene che il movente non fu la gelosia (la ragazza aveva anche altri rapporti che l’uomo accettava e insieme realizzavano video hard postati su OnlyFans) ma è da ricercarsi nel fatto che, come ha riportato il quotidiano La Prealpina, l’uomo “si rese conto che ormai, dopo averlo in qualche misura usato, Maltesi si stava allontanando da lui, scaricandolo” e andando a vivere altrove. Perdere una persona dalla quale “dipendeva, poiché gli aveva permesso di vincere la sostanziale solitudine in cui si consumava in precedenza e di vivere finalmente in modo diverso e gratificante, si è rivelata insopportabile”. E questa è anche l’opinione del perito e dei consulenti psichiatrici che hanno studiato il “funzionamento mentale e la personalità” di Fontana, ritenuto sano di mente.

In senso tecnico-giuridico, ad avviso della Corte, quindi non si è in presenza di motivi futili e abietti che, per la Cassazione, sussistono quando l’azione criminosa “più che una causa determinante dell’evento” è “un mero pretesto per lo sfogo di un impulso violento”. L’omicidio, inoltre, non fu premeditato dal momento che non vi è prova che fu organizzato né altri elementi fanno pensare il contrario. I giudici della Corte d’assise hanno analizzato la fase successiva del “depezzamento” del corpo e hanno scritto che “non si può fare il grave errore di desumere la crudeltà nel realizzare l’omicidio dalla raccapricciante, orripilante condotta successiva e in particolare dall’agghiacciante gestione del cadavere e dello spaventoso scempio fattone, che tanto orrore ha suscitato nell’opinione pubblica”. “Fontana – ha concluso la Corte -, compiuto l’omicidio, voleva liberarsi del cadavere definitivamente, definitivamente distruggendolo”.

Per Lanzoni di Pangea Onlus si tratta di “una sentenza basata su stereotipi di genere che colpevolizzano una donna uccisa e giustificano il femminicidio tanto da diminuire la pena e rigettare la richiesta di ergastolo. Una sentenza che non rende giustizia a Carol e a tutte le donne vittime di violenza anzi, perpetra una ulteriore violazione da parte della magistratura che rappresenta lo Stato Italiano e la sua giustizia”. La sentenza “aggrava ulteriormente la posizione dell’Italia, già condannata dalla Corte europea dei Diritti umani di Strasburgo, per giudizi stereotipati su una vittima di violenza. Ricordiamo infatti la sentenza del 27 maggio 2021 che ha condannato l’Italia per l’uso di stereotipi di genere colpevolizzanti e moraleggianti. Ciò continua a scoraggiare la fiducia delle donne nella giustizia e le espone al rischio di vittimizzazione secondaria. Oggi il copione si ripete”.

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