Quattro mesi di reclusione per avere fatto il saluto romano e la “chiamata del presente”. È questa la condanna inflitta dal Tribunale di Milano nei confronti di 13 esponenti dell’estrema destra finiti a processo per manifestazione fascista (reato previsto dalla legge Scelba) e per incitamento “alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali” (reato previsto dalla legge Mancino) nell’inchiesta del pm milanese Francesca Crupi. I fatti risalgono alla commemorazione di Sergio Ramelli del 29 aprile 2018.

Secondo quanto stabilito dal giudice Ilio Mannucci Pacini, i 13 estremisti dovranno anche pagare una multa di 300 euro, farsi carico delle spese processuali e versare 10mila euro di risarcimento provvisionale all’Anpi, parte civile nel processo. Tra i condannati, vi sono anche il leader di CasaPound Gianluca Iannone, i dirigenti di Lealtà Azione Stefano Del Miglio e Luca Cassani, e l’ex Forza Nuova e storico esponente dell’estrema destra milanese Duilio Canu.

La manifestazione non autorizzata di quell’anno vide la partecipazione di circa “2mila persone”, riunite per commemorare, come quasi ogni 29 aprile, Sergio Ramelli, il 18enne del Fronte della Gioventù ucciso nel 1975 da un gruppo di militanti di Avanguardia Operaia, oltre all’avvocato Enrico Pedenovi e al militare Carlo Borsani, stretto collaboratore di Benito Mussolini ucciso nell’aprile del 1945.

L’ultima sentenza di condanna su altri casi analoghi risale al novembre del 2022, quando la Corte d’Appello di Milano aveva ribaltato le assoluzioni di primo grado, condannando 8 imputati a due mesi di reclusione e a 200 euro di multa ciascuno per violazione della legge Mancino, sempre alla manifestazione in ricordo di Ramelli del 2016. In quella occasione i giudici avevano spiegato, nelle motivazioni della sentenza, che con la “pubblica ostentazione di gesti e simboli dell’ideologia fascista, in un contesto rievocativo e celebrativo” si fa “propaganda e diffusione di idee fondate sulla superiorità e sull’odio razziale ed etnico e sulla violenza”. Per la Corte, il fatto che in un altro processo su un’analoga manifestazione del 2014 ci fossero state assoluzioni, non legittimava gli imputati a invocare la cosiddetta “ignoranza inevitabile della legge penale”. Anzi, secondo i giudici “il dubbio sulla liceità o meno deve indurre il soggetto ad un atteggiamento più attento”.

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