di Sara Gandini e Paolo Bartolini

Pro o contro: ci sono situazioni in cui è necessario prendere posizione, senza troppi tentennamenti, perché l’equidistanza è sospetta. Altre volte l’ansia di schierarsi gioca brutti scherzi, appiattendo il dialogo e umiliando un uso ecologico della razionalità. Le due controversie globali che hanno segnato questi anni sono la sindemia Covid-19 (e la sua governance da parte delle istituzioni) e la guerra in Ucraina che vede coinvolte non solo la Russia e l’Ucraina stessa, ma anche la NATO e gli interessi del blocco occidentale capitanato dagli USA. Sono entrambi casi che richiedono una momentanea sospensione del giudizio, finalizzata non a prendere distanza dagli eventi per evitare di pronunciarsi su di essi, ma ad allargare la visuale per mettere a fuoco concause, processi, tendenze di media e lunga durata che influiscono su questi avvenimenti complessi. Rallentare, soprattutto nel giudizio rispetto a un tema delicato, non vuol dire esimersi dal giudizio stesso, bensì formularlo in maniera misurata, coraggiosa, fuori dagli schemi delle facili polarizzazioni.

I mass media vivono non solo di propaganda, ma di semplificazione seriale. La strategia comunicativa che li guida non è mai silenziare del tutto i dissenzienti, ma riservare loro un posto di disonore, un ghetto nell’immaginario di massa. Sono ben noti gli agguati televisivi alle voci fuori dal coro, puntualmente ridotte a macchiette da umiliare e ridicolizzare davanti alle telecamere. Non aiuta, dobbiamo dirlo, l’abitudine introiettata da un numero imprecisato di critici del sistema per cui – soprattutto nel mare chiuso dei social network – è normale esplodere con opinioni aggressive, attacchi ad personam, riduzionismi simmetrici e contrapposti. Comprendiamo benissimo che tali isole di malcontento, rabbia e sfiducia nelle istituzioni, siano nate come risposta a schiaccianti e inaccettabili ingiustizie perpetrate dallo Stato e da interessi privati sulla pelle dei cittadini. Tuttavia le sacche di resistenza alla governance neoliberista e guerrafondaia possono essere neutralizzate e rese innocue costringendole in luoghi virtuali preposti, chiusi e autoreferenziali.

Contro l’invio delle armi, e contro ogni deriva autoritaria che umilia i bisogni di prevenzione e di cura della popolazione, noi crediamo che dovremmo finalmente essere tutti uniti. Perché è evidente che gli stessi che hanno costruito norme barocche e perlopiù irrazionali per impedire a ogni costo la circolazione del Sars-Cov-2 oggi non si preoccupano affatto della quantità paurosa di vite distrutte dalla guerra e di quante ancora potrebbero essere sacrificate sull’altare delle logiche di potenza degli Stati e dei complessi finanziari-economici che dominano nei vari paesi. Ciò che è comune tra governance dell’emergenza sanitaria e gestione dell’attuale emergenza bellica è non solo il rifiuto di riconoscere al dissenso la sua legittimità, ma l’oscena disattenzione a ciò che potrebbe prevenire il peggio o arrestarne la degenerazione.

La sensazione, che attanaglia il cuore e paralizza il pensiero, è che la vita concreta di donne, uomini e bambini – per non parlare dei non umani e degli ecosistemi – sia ciò che non trova mai spazio nella griglia algoritmica delle teorie militari, politiche, economiche. Per dare rilevanza all’essenziale possiamo compiere un gesto che va oltre la testimonianza: firmiamo per i tre quesiti del referendum che il sistema informativo italiano, quasi nella sua totalità, sta oscurando.

Questa rimozione, come insegna la psicoanalisi parlando dei meccanismi di difesa della psiche, denuncia un’angoscia sottostante. Il potere, nonostante l’ostentazione sfacciata dei suoi segni, ha ancora paura della democrazia? Da questa domanda e da quelle firme proviamo a ripartire.

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