In Italia la legge sul salario minimo appare ancora un miraggio. Si parla di aumentare gli stipendi in un Paese che dal 1990 ad oggi ha visto il salario annuo medio aumentare di un misero 0,3%, fanalino di coda nell’Ocse. Eppure, anche di fronte a una proposta unitaria delle opposizione, il governo Meloni ha subito chiuso la porta ad ogni dibattito. In Europa però l’Italia resta tra i pochi Paesi a non prevedere un limite minimo di retribuzione: le fanno compagnia solamente i “frugali” Danimarca, Austria, Finlandia e Svezia, oltre a Cipro. Quindi, in 21 Paesi Ue su 27 è presente una legge sul salario minimo. Il testo su cui è stato trovato un accordo tra i partiti di opposizione prevede una soglia minima di 9 euro lordi all’ora. In 6 Paesi europei il tetto è superiore: in Lussemburgo è pari a 13,37 euro l’ora, in Germania è stato alzato a 12 euro, in Francia, Belgio, Paesi Bassi e Irlanda supera gli 11 euro. Segue la Spagna, dove a febbraio il governo Sanchez ha alzato il salario minimo dell’8% portandolo da 1.000 a 1.080 euro su 14 mensilità. Una cifra che si traduce in circa 7,8 euro l’ora.

Il salario minimo sempre più diffuso in Ue – La strada intrapresa da Madrid, dove ora la retribuzione di base ammonta al 60% degli stipendi medi spagnoli, è quella già seguita da molti governi europei per rispondere alla “erosione” del potere d’acquisto da parte delle classi medio-basse, che nel nuovo millennio hanno visto i prezzi salire molto di più dei loro salari. Per questo anche altri Paesi con un’economia più debole hanno comunque inserito un salario minimo: si va dai 5,4 euro l’ora della Slovenia agli 1,8 della Bulgaria (332 euro mensili). In Portogallo il tetto è fissato a 3,8 euro, soglia simile a quella della Grecia. In altri 6 Paesi è previsto un minimo tra i 3 e 4 euro l’ora, mentre in Lettonia, Romania e in Ungheria supera di poco i 500 euro mensili. Le disparità tra questi Paesi e i 2.3oo euro al mese previsti ad esempio in Lussemburgo sono notevolmente inferiori se si tiene conto delle differenze nel livello dei prezzi e quindi se espressi a parità di potere d’acquisto.

Il no di Calderone e le critiche di Sbarra – In Italia, secondo i dati Inps, circa 4,6 milioni di lavoratori non arrivano a guadagnare 9 euro lordi l’ora. Sono un terzo del totale. La categoria dove i salari sono più bassi è quella dei lavoratori domestici, ma anche in agricoltura il 35% dei braccianti non riceve la paga minima inserita nella proposta di legge delle opposizioni. Un provvedimento avversato dal governo e da una parte dei sindacati (Cisl e Ugl) con la solita motivazione: “Bisogna investire sulla contrattazione collettiva di qualità”, ha dichiarato la ministra del Lavoro, Marina Calderone. Subito spalleggiata da Luigi Sbarra, segretario della Cisl: “Rischiamo di creare alibi e pretesti alle imprese che a quel punto possono decidere di uscire dall’applicazione dei contratti“. Eppure, la proposta comune portata avanti da M5s e Pd ha ricevuto il favore degli altri sindacati proprio perché prevede che sia riconosciuto un trattamento economico complessivo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi. Il salario minimo subentra come ulteriore garanzia.

L’esempio della Germania: resta anche la contrattazione collettiva – Il timore dei critici è una spirale verso il basso della dinamica degli stipendi, che però non si è verificata negli altri Paesi che hanno adottato un salario minimo. In Germania, ad esempio, il Mindestlohn è stato introdotto già 8 anni fa e un anno fa è stato alzato a 12 euro l’ora dal governo Scholz. I lavoratori tedeschi però godono in molti settori di un salario minimo più alto: per il personale di assistenza negli ospizi è di 15 euro, nel settore della pulizia degli edifici è a 13 euro, in quello dell’edilizia è di poco inferiore. La legge tedesca sulla contrattazione collettiva prevede infatti all’articolo 5 che, al verificarsi di determinate condizioni, il ministero federale del Lavoro può dichiarare un contratto collettivo come generalmente vincolante per tutta una categoria di lavoratori. In altre parole, il contratto collettivo stipulato tra le organizzazioni sindacali e datoriali più rappresentative di un settore può essere esteso erga omnes. Così, in Germania il benchmark per ogni comparto diventa il salario minimo orario previsto dal contratto collettivo leader nel settore: sul sito del ministero del Lavoro è perfino possibile scaricare un elenco dei contratti collettivi dichiarati vincolanti per tutti. E la presenza di una paga base non impedisce di certo le battaglie sindacali, come dimostrano i pesanti scioperi di questa primavera proprio in Germania.

Una tutela per chi sfugge al tetto della contrattazione – L’esigenza di un salario minino unitario valido per tutti deriva invece dal fatto che sempre più lavoratori in tutta Europa sfuggono al tetto dei contratti collettivi. Da qui la necessità di una soglia di dignità al di sotto della quale non si debba scendere, che deve essere adeguata regolarmente seguendo parametri come l’inflazione. La proposta di legge delle opposizioni prevede in tal senso l’istituzione di una Commissione ad hoc, sempre sul modello tedesco. La stessa direttiva europea del 25 ottobre 2022 stabilisce che, accanto al salario minimo, sia altrettanto importante per far valere i contratti collettivi “principali” di ogni settore per tutti gli occupati di quel comparto. E ovviamente, per evitare rischi di effetti distorsivi, oltre alle norme servono sempre i controlli. Infatti, l’Italia tuttora non ha nemmeno una legge sulla rappresentanza sindacale per frenare i contratti pirata: l’articolo 39 della Costituzione, che prevedeva la registrazione dei sindacati in cambio della facoltà di stipulare contratti collettivi validi per tutti gli appartenenti alla categoria, è inattuato. E così possono proliferare accordi firmati da sigle minori, fittizie o “di comodo” che prevedono paghe da fame.

Il salario minimo anche in Uk e Usa: i suoi benefici – Infine, la ricerca economica negli anni ha dimostrato come l’aumento del salario minimo non abbia tra i suoi effetti distorsivi una riduzione dell’occupazione. L’economista David Card ha vinto il premio Nobel proprio grazie ai suoi studi condotti nel 1994 con Alan B. Kruger sull’impatto del salario minimo nell’industria dei fast food in New Jersey e Pennsylvania: la loro ricerca ha dimostrato che l’aumento della paga non ha ridotto il livello occupazionale. Le evidenze empiriche dimostrano che lo stesso è accaduto in Germania, dove nel frattempo sono aumentate le retribuzioni. In più, alcuni economisti che studiano i meccanismi dietro il funzionamento delle economie capitalistiche hanno evidenziato che salari troppo bassi non fanno che alimentare un circolo vizioso, incentivando le aziende a puntare su produzioni a basso valore aggiunto: al contrario, aumentare i salari minimi spinge ad adottare modelli produttivi più efficienti. D’altronde, il salario minimo è diffuso anche fuori dall’Europa: nel Regno Unito la paga orario di base è sui livelli di quella tedesca (12 euro). Negli Stati Uniti invece il salario minimo federale è più basso e si aggira intorno ai 1100 euro mensili.

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