La guerra dei droni raccontata da chi, materialmente, la sta combattendo. Uno dei tanti lati sconvolgenti del conflitto messo in campo da chi si sta difendendo da un’aggressione lunga 500 giorni. Il racconto è quello di Val, l’uomo parte delle azioni mostrate ripetutamente sui canali social, Telegram e Twiter in particolare, dove si vedono scene di morte trasformate in una sorta di videogioco. Invece è la cruda realtà quotidiana del conflitto lungo i 1.400 chilometri del fronte russo-ucraino.

Val, 28 anni, combatte nel punto più strategico, instabile e drammatico di quel fronte, ossia il controllo di ciò che resta di Bakmut. Una città ridotta a un cumulo di macerie dall’avanzamento di Mosca. Gli occupanti, dopo aver raso al suolo città come Severodonetsk e Lysychansk, oggi sotto il loro controllo, pensavano di arrivare facilmente entro il 2022 a mettere la bandierina su Slovjansk, Kostantinivka e soprattutto Kramatorsk, il baluardo finale del Donbas. A quel punto avrebbero interamente occupato le due regioni contese, Donetsk e Luhansk. Invece si sono trovati davanti una strenua difesa a Bakhmut, la città dove Val è nato e che adesso sta difendendo: “Sono rientrato dal fronte per qualche giorno di riposo, ma la mia testa è sempre lì. Non riesco a staccare, devo studiare, mettere a punto nuovi congegni da usare in battaglia”.

Ilfattoquotidiano.it ha incontrato Val in una località del Donbas sotto il controllo di Kiev. Una cena organizzata da un conoscente comune alla presenza di altri militari temporaneamente ‘off duty‘, ma pronti a tornare sul campo. In attesa del pasto è Val a mostrare alcune delle sue imprese, appunto i video che da mesi circolano sugli smartphone. Le immagini sono abbastanza simili e ripetitive. Una ripresa del terreno dall’alto mostra una trincea, un tank o un gruppo di soldati in movimento tra i cespugli o tra le rovine di una città. A un certo punto si nota la propaggine di un oggetto comparire nell’immagine, ossia l’ordigno che presto sarà sganciato sull’obiettivo. La bomba, ovviamente con carica limitata, viene sganciata e il cilindro cade dentro la trincea, nella carlinga di un mezzo corazzato attraverso una feritoia e comunque addosso al nemico, senza lasciargli scampo. L’epilogo di questi video è sempre lo stesso: la deflagrazione, la fuga disperata dei feriti e l’agonia finale di chi sta morendo senza neppure il tempo di rivolgere un pensiero alle persone amate. ‘E l’esplosivo spacca, taglia fruga…’ cantava Fabrizio de André in La bomba in testa (Storia di un impiegato), immagine plastica di questo segmento terribile della guerra al fronte.

L’estrema precisione di questo supporto militare coinvolge ogni piccolo dettaglio e Val, il massimo esperto sul territorio del Donbas ucraino, ne racconta la genesi: “Personalmente utilizzo due tipologie di droni, quelli con la carica sganciata sull’obiettivo per poi riportarli alla base e i droni kamikaze, diretti sul target. Per realizzarli ho bisogno di assemblare tutti i pezzi. Si tratta di armamenti leggeri, prototipi civili trasformati in device di guerra. La componentistica arriva dall’estero, ho contatti con gruppi di volontari nel nostro Paese che si occupano proprio di questa fase, ossia la ricerca, l’acquisto e il trasporto degli apparati. A me non resta che occuparmi del resto, l’assemblaggio dei pezzi, compresa la carica esplosiva applicata al drone. Ormai sono un esperto dell’intero processo, sia la costruzione che il funzionamento sul campo attraverso il controllo da remoto”. Ed è proprio sulla preparazione degli apparecchi che Val mostra alcune fasi attraverso foto e video tutorial. Nulla di nuovo rispetto alla costruzione di un drone ‘fai-da-te’, la particolarità riguarda i piccoli, eppure letali, ordigni montati. Val piazza le cariche esplosive dentro lattine di cola o di birre di importazione, usando boccette di profumi piuttosto che flaconi spray: “Mi servo di tutto ciò che è disponibile ed efficace – prosegue nel racconto il soldato-tecnico ucraino – facendo sempre la massima attenzione. Maneggio materiale esplosivo, non posso permettermi errori. A volte nei contenitori che saranno sganciati sugli obiettivi o sui droni stessi scrivo delle frasi dirette al nemico”.

Qui entra in gioco l’anima più profonda di chi è costretto a combattere. La storia di Val in questo senso, nonostante la sua giovane età, è molto lunga: “La guerra nel Donbas è iniziata nel 2014 quando i pro-russi aiutati da Mosca hanno preso il controllo dei territori delle due regioni con la forza e con le armi. Avevo vent’anni all’epoca e da allora non mi sono più fermato. Dal febbraio del 2022 c’è stato uno scatto in avanti. Adesso è una guerra diversa, vera, devastante. Da tempo mi sono specializzato nell’uso dei droni vista la mia passione specifica, ma ho anche maneggiato pezzi di artiglieria. Con una differenza, prima le armi scarseggiavano, ora l’appoggio dell’Occidente è fondamentale per consentirci di contrastare la potenza russa”. Val parla con una calma olimpica. Nonostante sia a riposo indossa abbigliamento tipicamente militare, tira qualche boccata dalla sigaretta elettronica e tiene costantemente il suo cellulare di ultimissima generazione collegato a una power bank da 30.000mAh, un blocco di tecnologia simile a un mattone in grado di ricaricare la batteria di una macchina.

Nel suo racconto affronta la parte più intima e dolorosa: “Sì, ho ucciso e ferito tanti soldati russi, non chiedermi quanti, parecchie decine, centinaia forse, ma è difficile tenere il conto. Ormai per me è diventato un lavoro e la stessa cosa pensano i nemici mentre maneggiano i loro droni o sparano razzi su di noi. Dispiace, la guerra è anche e soprattutto questo. La prima vittima l’ho fatta tanti anni fa, quando si combatteva per il controllo del territorio contro i filorussi. Vedere le immagini registrate degli attacchi coi droni kamikaze non mi fa più alcun effetto, se non la soddisfazione quando la missione è compiuta o il disappunto se invece le cose non sono andate bene. Sono freddo? Non credere che non sappia cosa significhi togliere una vita, ho rispetto per gli avversari, anche loro sono stati mandati allo sbaraglio dentro una guerra che non volevano. La colpa della loro morte non la sento mia, ma è di chi ha voluto tutto questo orrore, Vladimir Putin”.

Mentre tutti gli altri militari al tavolo aggrediscono letteralmente il cibo senza quasi neppure respirare, mescolandolo a una serie di brindisi alcolici per tenere alto lo spirito, Val non fa una piega. Alla voracità degli altri commensali oppone la meticolosità delle sue azioni. Pasto ridotto, bocconi piccoli, lunga masticazione il tutto allungato da un paio di tè neri. Prima della fine della serata Val chiarisce cosa sta succedendo realmente sul campo di battaglia, al di là di qualsiasi scenario propagandistico: “Stiamo riprendendo il controllo di Krasna Hora (villaggio a una manciata di chilometri a nord di Bakhmut, conquistata dal Gruppo Wagner a metà febbraio scorso, ndr) e presto libereremo anche Soledar. L’aria è cambiata rispetto a pochi mesi fa, i russi arretrano e non hanno più il supporto completo dei Wagner. Non sarà una passeggiata di salute, sia chiaro, gli avversari non molleranno così facilmente. Credo possano spostare su questo versante truppe occupate su altri punti del fronte, ma intanto i progressi sono evidenti, qui come negli oblast di Zaporizhzhia, Kherson e vicino a Donetsk city. A loro non perdonerò mai di aver ridotto a pezzi la mia città, Bakhmut, dove difficilmente potrò tornare a vivere. La mia casa, come tutte le altre, non esiste più”. A fine serata, così come è arrivato, leggero e sobrio, Val saluta tutti con un gesto della mano e una smorfia e scompare dietro una porta.

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