Non è una novità, si parla ormai da vari mesi della crisi del reclutamento militare dell’esercito statunitense ma, secondo i dati recentemente pubblicati dal Wall Street Journal, la situazione sembra essere anche peggiore del previsto. Il 2022 è stato l’anno peggiore in termini di nuovi ingressi nell’esercito dal 1973, anno in cui il servizio militare cominciò ad essere totalmente su base volontaria. La crisi ha coinvolto tutti i settori dell’esercito, dalla Marina alla Fanteria, registrando il 25% di reclute in meno rispetto al previsto (50mila su 65mila), e con solo il 9% dei giovani compresi fra 16 e 21 anni che oggi considera l’opzione della carriera militare contro il 13% del periodo pre-pandemia.

L’influsso patriottico generato dagli eventi dell’11 settembre 2001, che avevano rilanciato la carriera militare nelle aspirazioni di tanti giovani statunitensi, dopo aver prodotto risultati per 20 anni, sembra oggi non funzionare più. La situazione preoccupa molto il Pentagono, dal momento che si tratta di un problema di lungo termine che, se non risolto, potrebbe creare difficoltà agli Usa nella competizione fra grandi potenze con Russia e soprattutto Cina. Dai dati pubblicati dal Wsj, la Cina può contare su un totale complessivo di 2 milioni di uomini contro i meno di 1,4 milioni presenti nelle forze statunitensi. E questo in prospettiva può cambiare non di poco gli equilibri in un eventuale scontro militare con la Cina nel Mar Cinese Meridionale sulla questione di Taiwan.

Le ragioni di questa diffusa disaffezione sono molteplici e da ricercarsi, oltre che nelle mutazioni sociali avvenute nella società statunitense, anche nelle conseguenze che 20 anni di spedizioni militari hanno prodotto sulla popolazione. Fino ad ora il sistema delle nuove reclute si era retto in larga parte sui figli di militari che decidevano, anche su pressione dei genitori, di intraprendere una carriera nello stesso settore. Oggi sembra invece che siano gli stessi veterani a sconsigliare ai propri figli di seguire le proprie orme, spesso testimoni di vari disturbi psicologici emersi nei propri famigliari. Si stima infatti che il 16% dei militari statunitensi impiegati in Afghanistan e Iraq abbia poi sviluppato sindromi disturbo da stress post traumatico o depressione. Sempre più giovani oggi preferiscono altre opzioni offerte dal mercato del lavoro o la possibilità di intraprendere un percorso di formazione di lungo termine, alternative più invitanti del settore militare, dove le paghe più basse delle nuove truppe non raggiungono i 2000 dollari al mese insieme ad assistenza sanitaria, alloggio e sostegno sui generi alimentari.

Il tracollo di reclute non è però il solo scoglio con cui dovrà fare i conti il Pentagono. Nella società statunitense esiste anche un serio problema di preparazione dei giovani ad un’eventuale carriera militare. Il 77% di loro risulta essere inidoneo al servizio per cause di scarsa preparazione fisica e obesità, bassi punteggi nei test obbligatori previsti, fedina penale macchiata da crimini e abuso di droghe. Secondo le recenti dichiarazioni di Christine Wormuth, segretaria dell’esercito statunitense, la Difesa inizierà nella prossime settimane a lavorare ad un progetto di revisione strutturale del processo di reclutamento, che dovrà essere poi approvato dal Congresso vista la natura dei cambiamenti. La segretaria, che non ha voluto aggiungere altri dettagli, ha poi comunicato che il progetto dovrà essere necessariamente basato su un lavoro di coordinamento con i veterani.

Articolo Precedente

Proteste in Francia, i sindacati di polizia: “È l’ora della battaglia”. La sinistra insorge: “Un appello alla guerra civile”

next
Articolo Successivo

Val, l’uomo dei droni di Bakhmut: “Trasformo pezzi di uso civile arrivati dall’estero. Le bombe? Le preparo con lattine di birra o boccette di profumo”

next