Il ritornello è stato ripetuto all’infinito. Fino a quando non si è trasformato in un tormentone. In Italia, si dice, si licenziano troppi allenatori, non si dà tempo ai coach di inculcare i propri schemi nella testa dei calciatori. È stato così per anni. Soprattutto per merito (o per colpa) di presidenti che hanno trasformato l’esonero in un atto seriale, in un tratto distintivo della propria gestione. Ora, però, le cose sembrano essere cambiate. A dirlo è un rapporto pubblicato nelle scorse settimane dal Cies, l’osservatorio di Neuchâtel, in Svizzera, che dal 2005 si è specializzato nell’analisi statistica del pallone. Il report ha preso in considerazione ben 60 campionati di massima divisione sparsi in tutto il mondo, analizzando gli avvicendamenti in panchina nella stagione 2022/2023. E i risultati sono piuttosto interessanti.

Delle 850 squadre analizzate, ben 484 (ossia il 56.9% del campione) hanno cambiato allenatore in corsa. Una tendenza assume contorni diversi da Paese a Paese, con risultati a volte imbarazzanti. Delle 12 squadre della Premijer Liga bosniaca, ben 11 (91.7% del totale) hanno proceduto all’avvicendamento in panchina. Un record che è stato insidiato dalla First League della Macedonia del Nord (10 club su 11, 90.9% dei club partecipanti al campionato) e dalla Super Liga serba (14 cambi su 16 squadre, 87.5%% del totale). Esattamente sul versante opposto si collocano la Indian Super League, dove un solo club su 11 ha deciso di adottare il ribaltone in panchina (9.1%), la Premier League maltese (3 cambi su 14 squadre) e la A-League australiana (solo 3 formazioni su 12 hanno chiuso con un mister diverso da quello con cui avevano iniziato).

La faccenda diventa molto più intricata se si prendono in esame le 5 maggiori leghe europee. Lo stereotipo della Premier League come esempio della longevità in panchina è ormai superato. Dei 20 club che prendono parte al massimo campionato inglese ben 11 hanno cambiato il proprio allenatore (con una percentuale del 55%): Bournemouth, Brighton, Chelsea, Wolves, Aston Villa, Southampton, Everton, Leeds, Crystal Palace, Tottenham e Leicester. Ma considerando anche gli allenatori ad interim e gli esoneri plurimi, la Premier ha movimentato qualcosa come 28 mister diversi. Al secondo posto di questa classifica ci sono la Liga e la Ligue 1, entrambe con 10 allenatori esonerati su 20 (per una media tonda tonda del 50%), seguite poi dalla Bundesliga, con 8 delle 18 squadre che hanno proceduto all’avvicendamento (44.4%).

L’Italia, incredibilmente, è l’ultima fra le grandi leghe per numero di esoneri: dei 20 mister che hanno iniziato la stagione, ben 13 (64.4%) sono arrivati all’ultima giornata, mentre Bologna, Monza, Sampdoria, Verona, Cremonese, Salernitana e Spezia che hanno provato a raddrizzare la stagione cambiando timoniere. Una tendenza che ha dato risultati alterni, ma che si porta dietro un altro dato interessante. In Serie A si esonera poco, ma si esonera in fretta. Se l’Italia è al cinquantatreesimo posto (su sessanta) per numero di mister sollevati dall’incarico, il calcio tricolore si arrampica fino all’ottavo posto se si tiene in considerazione il numero di gare dopo cui viene recapitato il benservito al mister.

In media in Serie A si attende il 35.5% delle partite, poco più di un terzo del torneo, per esonerare un allenatore. In Ligue 1 si aspetta invece il 40.8% dei match prima di cambiare, mentre Bundesliga e Premier fanno registrare rispettivamente un 41.3% e un 41.5%. Il campionato più paziente è invece la Liga. In Spagna, infatti, l’esonero arriva in media dopo il 56.6 di partite giocate, praticamente nel girone di ritorno. Differenze importanti, che però forse non colgono alla perfezione il problema. In Italia, infatti, l’esonero viene visto come la conferma della gestione allegra con cui per una vita sono stati amministrati i club. Un concetto generico che affonda le sue radici in un passato prossimo dove alcuni presidenti (Zamparini, Cellino e Preziosi su tutti) sembravano cambiare allenatori senza avere una strategia credibile di lungo periodo. Ora la situazione sembra essere cambiata. Dei 7 club che hanno cambiato allenatore, quattro sono riusciti a cambiare il volto della propria stagione. I casi più eclatanti sono stati quelli di Bologna (che è passato da una media di 0.6 punti a partita con il compianto Sinisa Mihajlovic a una velocità di 1.5 punti a match con Thiago Motta) e Monza (da 0.17 punti a gara con Stroppa in panchina a 1.59 con Palladino). Il problema, dunque, non sembra essere solo l’esonero in sé, ma anche la capacità di scegliere il giusto sostituto.

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