di Davide Trotta

Gli insegnanti, che un tempo elargivano risolute frustate agli studenti più indolenti, divengono oggi destinatari di insulti, nei casi più felici. Ma quando le onde si increspano tra i flutti agitati della scuola, ci si può anche trasformare in bersagli di studenti – autori di edizioni aggiornate di episodi western durante le lezioni (esemplare il caso dei proiettili a gommino) – o di genitori che si presentano a colloquio col “coltello tra i denti”, il che ha cessato di essere un modo di dire, viste le cronache recenti.

Certo, si dirà, è la giusta nemesi storica per una categoria che in passato ha inciso qualche segno sulle carni dei malcapitati allievi, anche se biblicamente possiamo auspicare che le colpe dei padri non ricadano sui figli. La domanda sorge spontanea: quale mutazione genetica è intervenuta per cui studenti un tempo ossequiosi e deferenti alla bacchetta del maestro oggi ne spernacchiano tanto apertamente l’autorità? Invero questa è una domanda fallace: il problema non può risiedere nelle nuove generazioni che per definizione, fin dai testi più antichi, sono degeneri rispetto alle precedenti, sante e pudibonde. Certo, che i ragazzi di oggi siano sospinti da un’onda emotiva un po’ più audace rispetto al passato è evidente, ma ancorare le sorti dei docenti all’atteggiamento più o meno bischero degli studenti rischia di fuorviare.

Come in un malato la malattia va trovata all’interno del suo corpo e non nel corpo del vicino di letto, il morbo educativo che affligge la scuola andrebbe trovato all’interno di essa: penso quindi al consiglio di classe responsabile dei 9 in condotta. Tale valutazione, oltre a insinuare qualche dubbio sulla solidarietà ricevuta da questa insegnante dai suoi colleghi, incrina la credibilità che un docente può avere agli occhi del pubblico: a fronte di un episodio degno delle migliori scene western è mancata la lucidità o più semplicemente il buon senso comune, al netto di lauree e titoli di studio. Difficile che lavoratori, che non riescono a fare quadrato attorno a una collega, possano risultare compatti nel promuovere rivendicazioni di natura socio-economica, da sempre oggetto di polemica coi governi.

Il 9 in condotta è inoltre l’immagine plastica del buonismo, cui la scuola pare troppo spesso indulgere, sospesa com’è tra timori di ricorsi da parte di famiglie irose, paure di chiarimenti da parte dei dirigenti nel caso fioccasse qualche insufficienza di troppo, e tacita consapevolezza che la scuola risulta sempre più orientata in senso aziendalista. È noto che dal numero di iscritti dipendano i fondi destinati alle scuole e finanche le cattedre, è noto che in nome della continuità didattica si sacrifichino in molti casi vite umane di lavoratori, cui la via del ritorno a casa può rimanere preclusa anche per diversi anni, e si è notato come in tempi di pandemia la sostanziale renitenza a chiudere le scuole derivasse dalla volontà di non creare disagi alle famiglie, quasi la scuola fosse parcheggio per figli.

La politica nel corso del tempo ha mostrato una crescente quanto opportuna apertura nei confronti dell’utenza, fino a non riconoscere più a volte il confine con la compiacenza: non sarà che dalle famiglie, che “subiscono” i voti della scuola, arrivano poi i voti in sede elettorale! Diciamolo, tra certificazioni di varia natura e perbenismi velati da paure la scuola sta mostrando di arretrare: il buonismo, di cui sopra, finisce per essere pericoloso tanto per il mittente, prof. destituito di autorevolezza, quanto per il destinatario, studente assuefatto a un mondo surreale, pronto a entrare nella realtà del lavoro con la convinzione che sparare al capo con una pistola a gommini sia condizione necessaria per un degno riconoscimento lavorativo.

Ma c’è chi imputa responsabilità alla docente che si fa sparare, forse manchevole di agilità sufficiente a schivare i colpi, come se sparare a qualcuno per la sola presunta inidoneità fosse legittimo, al pari dei medici menati in ospedale da pazienti nervosi. Ma quella dell’ignoranza in materia balistica da parte dei dipendenti pubblici è tutta un’altra storia.

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