Prigozhin ha vinto, Putin è il grande sconfitto, ma non finisce qui”. La lunga marcia dei mercenari della Wagner verso Mosca, iniziata ieri mattina, si è fermata a 200 km dalla capitale russa. Per tutta la giornata di ieri la comunità internazionale è stata con il fiato sospeso, tra dichiarazioni al vetriolo e avanzamenti sul campo che hanno fatto credere di essere di fronte all’inizio della fine del regime di Vladimir Putin.

I veri bersagli di Prigozhin – “Prigozhin non aveva intenzione di fare un colpo di stato, non era una rivolta contro Putin”, dice al fattoquotidiano.it Abbas Gallyamov, che da ex speechwriter e stretto collaboratore del presidente russo Vladimir Putin è ora inserito nella lista di ricercati dal Cremlino. “Quando si vuole fare un colpo di stato- prosegue Gallyamov – lo si dichiara. Ecco, questo Prigozhin non l’ha mai fatto”. Effettivamente, dell’intento di rovesciare il potere di Vladimir Putin non vi è traccia nelle dichiarazioni pubbliche del capo della Wagner, tutte le minacce e le accuse sono rivolte al ministro della Difesa Shoigu e al capo di stato maggiore Gerasimov. “Il suo unico obiettivo- dice Gallyamov – era liberarsi di loro. Per Prigozhin, Putin doveva licenziarli o portarli a processo”.

Il ministro della Difesa russo e il capo della Wagner erano ai ferri corti da tempo, ma le prime avvisaglie che dalle parole si stesse passando ai fatti si sono intraviste venerdì mattina, quando Prigozhin ha rilasciato un’intervista in cui non ha usato mezzi termini. Il capo della Wagner, infatti, ha accusato apertamente Shoigu di aver voluto iniziare l’ “operazione speciale” in Ucraina solo per interessi carrieristici personali, ingannando il popolo russo e lo stesso presidente Putin fornendogli “informazioni false su una possibile minaccia alla Russia da parte dell’Ucraina”. Prigozhin addebitava gli scarsi risultati dell’operazione militare russa in Ucraina alle scelte scellerate di Shoighu e Gerasimov. Secondo quanto denunciato già da mesi dal capo della Wagner, la situazione sul campo era insostenibile. Poche armi e soldati male addestrati – quelli russi – contro un esercito ben munito e tatticamente preparato – quello ucraino – , nonostante questo fosse quasi inesistente fino all’invasione russa dell’Ucraina del 24 febbraio 2022. Il punto di non ritorno è stato raggiunto quando, ieri all’alba, il gruppo Wagner ha annunciato di aver abbattuto un elicottero russo, dopo che questo avrebbe colpito un loro convoglio nella regione di Voronez, a pochi chilometri del confine ucraino.

Non un piano ma istinto di sopravvivenza – Nonostante il New York Times abbia riferito che gli Stati Uniti fossero a conoscenza da mesi di un piano di rovesciamento del potere a Mosca, l’iniziativa di Prigozhin sembra essere stata piuttosto il frutto del puro istinto di sopravvivenza di un uomo che ha tutto da perdere, oltre che il riflesso di lotte intestine. “Penso che non ci sia stato alcun ‘piano’. Prigozhin ha percepito che la situazione sul campo si sta mettendo male per i russi e che il regime di Putin collasserà – dice Gallyamov – È consapevole che indipendentemente da chi verrà dopo lo zar, se non farà qualcosa per cambiare il corso degli eventi, lui sarà il primo a finire in galera. È come una persona che sta annegando e tenta disperatamente di tenersi a galla”. Secondo quanto dichiarato dal portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, si sarebbe arrivati ad un accordo con Prigozhin grazie alla mediazione del presidente bielorusso Lukashenko. A questo punto sono due gli aspetti ancora da capire: cosa ha ricevuto in cambio Prigozhin per fermare l’avanzata, e cosa c’è dietro alla scelta di affidare la mediazione al presidente bielorusso. “Per quanto riguarda la prima questione, è probabile che abbia ricevuto così tanto denaro da ritenere giusto fermarsi – dice al fattoquotidiano.it Abbas Gallyamov – dobbiamo ricordarci che Prigozhin è un cinico uomo d’affari. Sono assolutamente sicuro che a lui non interessa il potere politico, a lui interessa solo che i suoi servizi vengano pagati bene”. Inoltre, che i canali di dialogo tra il Cremlino e il capo della Wagner si fossero interrotti, si era capito quando nella mattinata di sabato, proprio il presidente russo era intervenuto in diretta nazionale definendo i miliziani di Wagner “traditori”, “ricattatori” e “terroristi”. Anche sulla seconda questione, Gallyamov è altrettanto sicuro: “Il fatto che la mediazione sia stata affidata ad un agente esterno alla Russia, la dice lunga sullo stato di salute del regime di Putin”, dice Abbas Gallyamov, che prosegue: “Non solo non sono stati capaci militarmente di fermare la Wagner mentre avanzava verso Mosca – oltre al fatto che molti uomini nell’esercito russo ritengono che Prigozhin abbia ragione e simpatizzano per lui-, ma un duro colpo è stato inferto anche al sistema politico interno: da questa storia è venuto fuori che al Cremlino non c’è nessun negoziatore capace di mediare tra Putin e Prigozhin”.

L’ultima incognita – L’ultima incognita riguarda il destino del capo della Wagner e della sua compagnia stessa. In alcune dichiarazioni rilasciate ai giornalisti ieri sera, Peskov ha dichiarato che “i miliziani della Wagner che lo vorranno e che non hanno partecipato alla ribellione saranno inquadrati nell’esercito regolare”. Sembra il preludio di uno smantellamento della compagnia paramilitare di Prigozhin, anche se è ancora presto per dirlo. D’altra parte, ieri la Wagner ha dimostrato di essere in grado di prendere il controllo in poco tempo di Rostov sul Don, una delle città russe più importanti, e di marciare verso Mosca senza che l’esercito russo potesse fare qualcosa per impedirglielo. “Quello che è certo è che Prigozhin è il vero vincitore di questa storia perché ha dimostrato di essere in grado minacciare seriamente la capitale russa e di decidere anche quando fermarsi – dice Gallyamov – Ha mostrato di avere il coltello dalla parte del manico, e Putin per questo è il grande sconfitto”. La partita, però, non è finita.