Dopo i due giorni di sciopero della scorsa settimana e la bocciatura dell’ipotesi di accordo raggiunta dalla rappresentanza sindacale, che si è quindi dimessa, i giornalisti del Corriere sono ancora in stato di agitazione “per il deteriorarsi delle relazioni sindacali con l’azienda”. Un comunicato dell’assemblea pubblicato sul sito del quotidiano di via Solferino spiega che “le risposte alle richieste di un più adeguato riconoscimento del lavoro della redazione sono state irrispettose e irrisorie per un’azienda che ha dichiarato cospicui utili e distribuito dividendi. Le condizioni di lavoro al Corriere sono progressivamente peggiorate in questi anni. La stragrande maggioranza dei giornalisti tra sede centrale, ufficio di corrispondenza di Roma e cronache locali ha stipendi ai minimi contrattuali con forfait per straordinari, notturni e domenicali risibili, a fronte di un impegno orario sempre più alto”. Da ultimo “alla redazione online, già sovraccarica di lavoro, viene ora chiesto di iniziare a lavorare alle 5.45 del mattino, a fronte di un’offerta economica risibile. Le retribuzioni dei collaboratori, infine, sono state falcidiate fino a toccare i 20 euro (lordi) a pezzo”.

I giornalisti ribadiscono come sia in atto un “tentativo di mettere in discussione persino un istituto che fa parte della nostra busta paga: l’aggiornamento professionale“, mentre “si moltiplicano le nostre mansioni in ambiti che spesso sono al limite del lavoro giornalistico” e “da troppo tempo la linea rossa che deve separare informazione e marketing è sempre più sfumata, fino ad arrivare a commistioni che fanno male all’immagine e alla tradizione di autonomia del Corriere”. Scontentano anche la mancata stabilizzazione dello smart working – “abbiamo strappato a fatica, minacciando uno sciopero, 6 giorni al mese per sei mesi” – e mezzi tecnologici “spesso inadeguati”. Infine, “da settimane in via Solferino sono in corso i lavori per realizzare gli uffici dell’editore Urbano Cairo al primo piano del giornale, nello stesso corridoio dove ci sono direttore e vicedirettori. Mentre altri dirigenti avranno i loro uffici fisicamente accanto alle redazioni. Una scelta che rischia di violare una legge non scritta, ma che è stata la vera forza del Corriere, quella che impone una netta separazione degli spazi”.

L’editore Urbano Cairo risponde sottolineando che “il comunicato è stato deciso da un’assemblea di 168 giornalisti, con 143 votanti, di cui 130 a favore, circa il 27% dell’intera redazione. Abbiamo condiviso la decisione del Direttore Luciano Fontana di pubblicarlo ugualmente nel rispetto del confronto delle idee, come nella tradizione di questo quotidiano”. E quanto agli stipendi sostiene che “la media delle retribuzioni è pari a 90mila euro lordi“, cifra che ha sorpreso la redazione.

Poi l’editore a cui fanno capo Rcs e La7 rivendica i risultati raggiunti in termini di abbonamenti digitali e il fatto che “Rcs non ha avviato alcuna operazione volta a ridurre l’organico giornalistico del Corriere della Sera. Al contrario ha continuato nella politica di assunzioni di giornalisti giovani, inserendone 8 nel 2023 che si aggiungono ai 48 redattori assunti al Corriere dal 2016″. Quanto all’utilizzo di stanze “storicamente a disposizione della redazione”, la decisione “è concordata con la direzione del giornale e non modifica in alcun modo i rapporti di lavoro tra direzione di testata e direzione generale, ispirati da sempre al profondo rispetto della assoluta indipendenza del lavoro della direzione giornalistica del Corriere”. Ma la parte non vincolata del palazzo di via Solferino sarà ristrutturata “creando due ingressi con accesso separato dagli uffici della direzione giornalistica” e “in questi spazi, come da tradizione del passato, ho deciso di stabilire la mia sede”.

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