Silvio Berlusconi viene spesso ricordato a livello internazionale per le numerose gaffe collezionate nel corso dei suoi quattro governi da presidente del Consiglio. Si va dagli apprezzamenti a Michelle Obama alla “abbronzatura” dell’allora presidente americano, senza dimenticare le corna mostrate nella foto di rito del vertice dei ministri degli Esteri Ue, fino a episodi più gravi, come lo scontro con Martin Schulz al Parlamento europeo. Ma dalla sua cerchia e tra i suoi estimatori si sente spesso dire che la politica estera è stato l’ambito nel quale il fondatore di Forza Italia ha forse raggiunto i risultati più importanti: dal Trattato di amicizia tra Italia e Libia del 2008 agli Accordi di Pratica di Mare che sancirono un riavvicinamento tra Russia e Nato, definiti da Berlusconi come la “fine della Guerra Fredda”. In realtà, le sue aspirazioni da kingmaker erano dovute più alla sua capacità di stabilire rapporti di amicizia con i leader più scomodi della terra che a una visione a lungo termine della politica estera. Da Putin a Gheddafi, dal dittatore egiziano Mubarak a quello tunisino Ben Ali, Berlusconi ha operato nel costante tentativo di occupare gli spazi che gli altri leader preferivano lasciare liberi, così da rendersi uomo utile, se non indispensabile, per la soluzione di controversie internazionali. Abilità nella quale si è dimostrato maestro nel corso di tutta la sua lunga carriera. Ma che ha portato, almeno in politica estera, a un solo risultato: accordi poco solidi e soluzioni a brevissimo termine.

Il “miracolo di Pratica di Mare” cancellato in pochi mesi
Nella collezione personale delle amicizie di Berlusconi, un posto speciale è riservato certamente a Vladimir Putin. Le visite internazionali si sprecano, gli aneddoti anche (dal “lettone” alle vacanze nella dacia sul Mar Nero, fino alle foto con Dudù). Il loro rapporto non è stato scalfito nemmeno dalla decisione del presidente russo di invadere l’Ucraina che ha messo Berlusconi in una posizione di difficoltà rispetto all’allineamento internazionale atlantista del governo Meloni e dalla quale il leader di Forza Italia ha cercato di uscire, dopo un lungo silenzio, dicendosi “deluso” per la decisione dell’amico. Salvo poi cominciare una guerra a suon di dichiarazioni pubbliche con Volodymyr Zelensky e uno scambio di regali a base di Lambrusco e Vodka col leader del Cremlino. Che il rapporto sia rimasto ben saldo lo dimostrano i messaggi di cordoglio arrivati da Mosca, con il presidente che ha definito la sua morte “una perdita irreparabile”, mentre il suo delfino Dmitry Medvedev ha rivolto un messaggio al Paese intero: “Piangiamo con te, Italia. Silvio era il tuo patriota. Ci ricorderemo di te!”.

Questo legame è anche alla base di quello che il leader di Forza Italia rivendicava come il suo principale successo in politica estera: gli accordi di Pratica di Mare del 2002, da lui stesso ritenuti “la fine della Guerra Fredda”. Storicamente, in realtà, l’inizio della distensione tra Russia e Stati Uniti viene individuato ben più indietro nel tempo, nell’incontro del 1985 tra gli allora presidenti russo e americano, Mikhail Gorbacev e Ronald Reagan, quattro anni prima della caduta del Muro di Berlino (1989) e sei anni prima della disgregazione dell’Urss (1991). Pratica di Mare ha rappresentato senza dubbio un passaggio fondamentale nel processo di allentamento della tensione tra Russia e Nato se si tiene conto che il mondo era uscito da appena tre anni dalle guerre della ex-Jugoslavia, con l’Alleanza Atlantica che intervenne militarmente contro le truppe di Slobodan Milosevic in Kosovo. Il suo impatto sul futuro delle relazioni tra i due blocchi, però, è durato pochissimo: nel 2004, nemmeno due anni dopo la stretta di mano tra Vladimir Putin e George W. Bush, la Nato attuò il quinto allargamento, accogliendo nell’Alleanza Estonia, Lituania, Lettonia, Bulgaria, Romania, Slovacchia e Slovenia, creando così un cordone intorno ai confini occidentali della Federazione. Mossa che gettò le basi delle nuove tensioni sfociate nel 2022 nel conflitto russo-ucraino.

L’amico Gheddafi e il doppio standard con l’Iraq
L’altro grande amico dell’uomo di Arcore era senza dubbio l’ex presidente libico, Muammar Gheddafi. Le immagini dei suoi viaggi a Roma con tanto di tenda beduina, amazzoni e cavalli arabi hanno intasato i telegiornali dell’epoca. E proprio i suoi stretti rapporti col Raìs sono l’altro grande vanto di Berlusconi in politica internazionale, soprattutto se riletti ad anni di distanza, con la nuova impennata di arrivi di migranti attraverso la rotta Mediterranea. Fu nel 2008, infatti, che Berlusconi e Gheddafi firmarono il Trattato di amicizia tra Italia e Libia con il quale, tra le altre cose, Tripoli si impegnava a pattugliare le proprie coste per impedire le partenze delle persone in fuga dai Paesi dell’Africa centrale, portandole in centri di accoglienza libici. Centri ai quali, si vanterà poi Berlusconi, l’allora premier regalerà 200 bidet che evidentemente non erano previsti nei progetti di costruzione. In cambio, tra le altre cose, l’Italia vendette anche armi al regime sanguinario del Paese nordafricano.

Se si vogliono ignorare le penose condizioni di detenzione dei migranti nei centri del regime, l’intesa contribuì a creare un blocco alle partenze dalle coste libiche. Tappo che è saltato nel 2011, quando l’intervento militare della Nato sancì la definitiva caduta del Raìs, con la conseguente disgregazione del Paese, finito in mano a decine di milizie locali ancora oggi ingovernabili. A quell’operazione partecipò anche l’Italia, negli ultimi mesi del governo Berlusconi, ma l’ex premier ha sempre dichiarato di aver tentato di dissuadere fino all’ultimo l’allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e gli alleati dall’intervenire, prevedendo conseguenze economiche e migratorie disastrose per l’Italia.

Otto anni prima, nel 2003, Berlusconi non ebbe però lo stesso approccio col dossier iracheno. A fare pressione, dall’altra parte, non c’erano il Democratico Barack Obama o il leader repubblicano francese Nicolas Sarkozy, ma il leader laburista britannico Tony Blair, con il quale un anno dopo venne fotografato durante la famosa ‘vacanza della bandana’ a Porto Cervo, e lo stesso George W. Bush che nel 2002 aveva convinto a stringere la mano di Putin a Pratica di Mare. Erano i giorni in cui l’allora segretario di Stato americano, Colin Powell, sventolava al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite la falsa prova della fiala contenente antrace per dimostrare che Saddam Hussein possedeva armi chimiche. Berlusconi, in quell’occasione, non pensò però alle conseguenze disastrose che quella guerra mossa da motivazioni false avrebbe provocato anche per l’Italia: Roma prese parte, insieme a Stati Uniti, Regno Unito, Spagna, Portogallo, Polonia, Danimarca, Australia, Ungheria e Ucraina, a quella che venne ribattezzata la Coalizione della Volontà che nel marzo 2003 diede inizio all’offensiva contro il regime di Baghdad. Saddam Hussein venne spodestato e ucciso, proprio come Gheddafi otto anni dopo, e le conseguenze di quell’invasione l’Italia e il mondo intero le stanno pagando ancora oggi: i raid, le uccisioni, le violenze indiscriminate e soprattutto gli scandali come quello del carcere di Abu Ghraib provocarono la disgregazione di un intero Paese e furono il fertilizzante grazie al quale nacquero e si alimentarono gruppi terroristici di matrice islamista che ancora oggi destabilizzano il Medio Oriente, l’Africa e l’Asia Centrale in particolar modo.

“L’impresentabile” in Ue
Quando si candidò alle ultime europee del 2019, la commissione parlamentare Antimafia definì Berlusconi un “impresentabile”. La questione riguardava i processi a suo carico, ma la definizione, in senso più largo, poteva anche essere adottata dal punto di vista puramente politico. Elencare gli episodi con i quali il leader forzista ha attirato le critiche dei colleghi europei, minando la propria credibilità ai loro occhi, richiederebbe un’analisi a parte. Tra i più gravi (e conosciuti) c’è sicuramente l’intervento del 2003 con il quale decise di rispondere al Socialista tedesco Martin Schulz, che aveva mosso accuse nell’aula del Parlamento Ue nei confronti suoi e degli alleati della Lega. Schulz criticò il Carroccio per le sue politiche “del tutto incompatibili con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea” ed espresse la sua preoccupazione che “il virus del conflitto d’interessi di Berlusconi si espandesse anche a livello europeo”. La risposta del capo forzista fu durissima: “In Italia stanno preparando un film sui campi di concentramento nazisti, la proporrò per il ruolo di kapò”.

Tra i suoi bersagli preferiti c’era di sicuro Angela Merkel, ma ci fu un momento in cui l’atteggiamento del leader di Forza Italia creò una rottura che negli anni si rivelò insanabile. Aprile 2009, Germania e Francia ospitano il vertice Nato con il quale, tra le altre cose, l’Alleanza avrebbe dovuto nominare il nuovo segretario generale. Merkel, come da protocollo, accoglie i leader del Patto Atlantico al loro arrivo. Ma quando è il momento di Berlusconi, il fondatore di Forza Italia scende dall’auto col cellulare all’orecchio, ignora la cancelliera e continua a parlare dirigendosi nella direzione opposta, lasciandola in attesa per dei lunghi e imbarazzanti minuti. Berlusconi spiegherà poi che in quel momento stava lavorando per convincere un altro suo “amico”, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, a togliere il veto sulla nomina di Anders Fogh Rasmussen a nuovo segretario generale della Nato. Intermediazione che portò i suoi frutti, ma che ha contribuito a peggiorare i rapporti già non idilliaci tra l’ex premier e la cancelliera, come dimostra la nota conferenza stampa dell’ottobre 2011 nella quale Merkel e Sarkozy si lasciarono scappare una risata complice di fronte alla domanda di un giornalista sull’impegno italiano in tema di riforme economiche. Pochi giorni dopo, Berlusconi fu costretto a dimettersi da presidente del Consiglio con l’Italia in piena crisi e lo spread ormai ben oltre i 500 punti.

Anche negli ultimi anni, quando nonostante la rielezione al Parlamento Ue Berlusconi non si è praticamente mai presentato a Bruxelles, la linea tenuta da Forza Italia all’interno del Partito Popolare Europeo ha sicuramente contribuito ad alimentare i dissidi interni tra l’anima più liberale della formazione e quella più conservatrice. Ad esempio, il partito ha sostenuto fino alla fine la necessità di non escludere Fidesz, la formazione del premier ungherese Viktor Orban, dalla più grande famiglia politica europea. Una posizione che lo ha portato allo scontro con altre realtà, compresa, di nuovo, la Cdu di Angela Merkel che al suo interno viveva già uno scollamento rispetto alla Csu bavarese con a capo l’attuale presidente del Ppe, Manfred Weber. Proprio Weber è una delle poche alte personalità politiche internazionali presente ai funerali del leader forzista, così come lo stesso Orban. In quell’occasione Forza Italia, partito che da sempre si dichiara europeista, antipopulista e liberale, non si è fatta problemi a prendere le difese di un leader accusato di regolari violazioni dello stato di diritto nel suo Paese. D’altra parte, già nel 2019 fu proprio Berlusconi a chiarire il modo di operare del suo partito con le anime più estreme della destra: “Noi abbiamo creato il centrodestra, noi abbiamo coinvolto Lega e fascisti. Li abbiamo legittimati noi, li abbiamo costituzionalizzati noi”.

Twitter: @GianniRosini

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