La strada verso un Trattato sulla plastica è lastricata di ostacoli. È questo quanto emerso dai negoziati tenutisi a Parigi (INC2) dal 29 maggio al 2 giugno scorsi e che hanno visto come protagonista della trattativa una coalizione non strutturata, poco ambiziosa ed eterogenea di Stati che si distinguono per essere i maggiori produttori di petrolio. Sono proprio loro che hanno cercato di rallentare gli ingranaggi dei processi decisionali.

Quasi due giorni interi su cinque sono trascorsi a discutere sul regolamento e sulle modalità con cui prendere le decisioni. A guidare questo fronte, un gruppo di Paesi tra cui Arabia Saudita, Russia, Cina e India, le nazioni produttrici di petrolio e i lobbisti dell’industria dei combustibili fossili (secondo alcune stime questi ultimi erano in più di duecento a Parigi). A conferma, ancora una volta, di come la plastica sia realmente il piano B dell’intero settore.

I giorni successivi hanno fatto emergere i veri interessi di questo gruppo: evitare qualsiasi limitazione alla produzione di plastica, limitare gli obblighi del trattato solo ad azioni (volontarie) a livello nazionale, concentrarsi sul migliorare la gestione dei rifiuti e opporsi al divieto o alla graduale eliminazione di determinati prodotti. Insomma, per questo gruppo il problema si risolve incrementando il riciclo.

L’appuntamento di Parigi è stato la seconda tappa del lungo percorso che dovrebbe portare i leader mondiali a definire entro il 2024 un Trattato globale sulla plastica. Il mandato affidato al panel è molto chiaro sin dalla risoluzione delle Nazioni Unite approvata a marzo 2022 che ha avviato il processo: alla plastica sono associati numerosi impatti in ogni fase del suo ciclo di vita; pertanto bisogna affrontare il problema fin dalla produzione del materiale, oltre che nella fase del suo utilizzo e in quella di smaltimento (full lifecycle approach). Per questo il Trattato può essere lo strumento legalmente vincolante che provi ad arginare uno dei problemi ambientali più gravi dei nostri tempi. Eppure, come già successo nella precedente riunione svoltasi in Uruguay (INC1), c’è chi continua a tentare di forzare la mano cercando di ricondurre il problema solo ed esclusivamente a una migliore gestione di questo materiale a fine vita.

Nonostante le crescenti preoccupazioni per l’impatto dell’inquinamento da plastica sulla salute delle persone e sull’ambiente, la produzione di plastica continua infatti a crescere di anno in anno. Le aziende dei combustibili fossili come ExxonMobil, Dow e Shell stanno dirottando grandi investimenti proprio per aumentare la loro capacità produttiva negli impianti petrolchimici. Secondo le stime più recenti, la produzione di plastica potrebbe raddoppiare entro i prossimi dieci-quindici anni e triplicare entro il 2050.

Nel corso degli anni ci siamo sempre e solo affidati all’economia del riciclo, cosa ben diversa dall’economia circolare, e il problema plastica ci è letteralmente sfuggito di mano a livello planetario. Come dimostrano numerose evidenze scientifiche, i pareri di eminenti scienziati e i dati più recenti delle stesse Nazioni Unite, infatti, il riciclo da solo non basterà. Lo hanno ben chiaro diverse nazioni come la Norvegia, la Svizzera, la Nuova Zelanda, l’Ecuador e tanti Stati africani che dai tavoli di Parigi hanno chiesto un limite alla produzione di plastica. A loro si affiancano numerose nazioni europee. Ma non l’Italia: il nostro Paese risulta quasi sempre non pervenuto ai tavoli di negoziazione che affrontano i grandi temi globali.

A fare da contraltare e a denunciare la situazione affinché le Nazioni Unite impediscano all’industria fossile di sabotare i negoziati sono intervenute oltre 150 organizzazioni della società civile e scienziati di tutto il mondo che hanno sottoscritto una lettera aperta.

È in vista, però, un passaggio fondamentale. Il prossimo round di negoziazione, in programma in Kenya in autunno, dovrebbe segnare infatti un importante cambio di passo. In quella sede dovrà essere presentato il cosiddetto “Zero Draft”, la “bozza zero” da cui cominciare a fare sul serio e dentro cui inserire proposte e contenuti. Come dice la scienza, serve un graduale phasedown della plastica ed è su questa progressiva riduzione della produzione che misureremo realmente le ambizioni dell’umanità.

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