di Stefano Briganti

Nel 1994 ero negli Usa e preparai una tesi per uno stage a Cambridge. Scelsi il tema delle implicazioni etiche derivanti dall’annuncio del World Wide Web.

Negli Usa già prevedevano, accanto al valore aggiunto delle ricerche nel www, anche un potenziale “misuse” (uso improprio), con ricadute etiche, per via della natura non controllabile di Internet. Trent’anni dopo credo che tutti noi, chi più e chi meno, siamo calati in una dimensione di interazioni virtuali che, sviluppando un nuovo “modello etico sociale”, conferma quegli interrogativi.

Oggi si affaccia un nuovo strumento che, a mio avviso, può avere ricadute sociali persino maggiori della evoluzione del www; l’AI o Intelligenza Artificiale. Il concetto nasce anni fa quando, con la crescita esponenziale della potenza di calcolo dei computer, ci si domandò se questi potessero sviluppare delle “decisioni proprie”. Ora siamo arrivati alla soglia, ai primi embrioni di Intelligenze Artificiali. Al momento i limiti sono molti e il concetto di “intelligenza” è ben lontano da quello che noi sviluppiamo come esseri umani. Un limite alle possibili capacità di auto-istruzione dell’AI è legato alla velocità e potenza di calcolo del computer che, emulo cervello, racchiude l’intelligenza. Limite però oggi superabile con l’avvento dei computer quantici. L’enorme potenza di calcolo e di elaborazione di immensi archivi di dati permette ad algoritmi, realizzati dall’uomo, di sviluppare in tempi brevi risultati sorprendenti per i quali dieci anni fa occorrevano mesi se non anni per essere raggiunti. Però chiamare questa “una intelligenza” è piuttosto azzardato.

Così come fu per Internet, dietro agli aspetti di indiscutibile utilità se ne celano altri potenzialmente più inquietanti.

L’AI viene presentata oggi come “nuova frontiera per il benessere umano” in molti ambiti della società, dalle valutazioni delle operazione di trading, allo svolgimento dei compiti degli studenti, ai test d’ingresso universitari. Viene messa alla portata del popolo degli utilizzatori del www, ovvero quel popolo che va dai bambini fino agli ottuagenari, “offerta” dal motore di ricerca più utilizzato al mondo in modalità “prova anche tu questa nuova e sorprendente meraviglia che hai visto solo nei film di fantascienza. Ora è una realtà. Provala; è gratis, falle domande e ti sorprenderà”. In questo modo quasi “ludico”, si diffonde una familiarità con l’AI alla quale porre domande, mentre la veloce diffusione è garantita dalla penetrazione nella società del mezzo, ovvero il web.

Il rischio che intravedo dietro questa operazione epocale è che affidandosi all’AI direttamente (es. mi fa i compiti a casa, mi scrive pezzi di tesi di laurea, dice come investire il denaro) o indirettamente (es. processi produttivi “smart”, algoritmi finanziari, gestione delle risorse umane), l’uomo perda anche gli ultimi residui di quel “pensiero critico” verso ciò che gli viene proposto e che dovrebbe guidarlo nelle scelte.

Nel distopico mondo di 1984 l’analisi critica e il domandare “Perché?” erano proibiti. Quando la “nuova mirabilia” dell’AI diventerà pervasiva, la risposta ai “Perché?” l’affideremo a lei, sostituendola ad un processo mentale di ricerca e di analisi. Ecco ciò che mi par di scorgere dietro all’iperlancio dell’AI: la creazione, in un futuro non troppo lontano, di una società fatta da individui fisici deprivati delle facoltà di giudizio e di critica costruttiva, che affida le proprie domande-risposte, decisioni, risoluzione di problemi ad un sofisticato insieme di tecnologia e di algoritmi creati dalle mani, non disinteressate, delle Big Tech, dei padroni del Web e di chi li governa.

Già si profilano nuove frontiere. Neuralink, una creatura di Elon Musk, che permette di fare impianti tecnologici nel cervello per comunicare direttamente con un computer col pensiero, ha avuto l’ok della Fda alla sperimentazione. Cosa succederà quando un computer-AI “parlerà” direttamente al cervello via impianto tecnologico?

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