In Brasile sono momenti angoscianti per ambientalisti ed ecologisti e difensori della biodiversità. Il 24 maggio, i rappresentanti dell’agro business hanno dato di nuovo prova della loro forza nel governo del presidente Inácio Lula da Silva. La Commissione mista, formata da deputati e senatori, ha votato quasi all’unanimità a favore di una misura provvisoria con cui non solo potrebbero ridimensionarsi l’operatività del ministero dell‘Ambiente e dei Cambiamenti Climatici e di quello dei Popoli Indigeni, ma che minaccia anche il peculiare ecosistema della Foresta Atlantica che ancora resiste nonostante secoli di devastazione, lungo la costa brasiliana. Votando la misura provvisoria 1.154, redatta dal presidente Lula durante il suo insediamento e responsabile della riorganizzazione dei ministeri e delle loro funzioni, la Commissione ha apportato variazioni che indeboliscono i due ministeri e offuscano gli impegni ambientalisti del governo Lula e del suo partito.

Il Pt e Lula fecero dell’ ambiente e della questione indigena due capisaldi della campagna elettorale che portò alla vittoria nelle elezioni presidenziali dello scorso novembre. Oggi restano elementi essenziali per la diplomazia brasiliana che desidera mostrare l’immagine di un governo attento all’Amazzonia e ai problemi ambientaki. Per quanto riguarda la questione indigena, la Commissione ha tolto al ministero comandato dall’india Sônia Guajajara uno dei suoi compiti principale: la competenza a delimitare le terre indigene, trasferendola al ministero della Giustizia. La ministra dell’ Ambiente, Marina Silva, invece, ha perso il coordinamento del Sistema nazionale di gestione delle risorse idriche e dell’Agenzia Nazionale per l’Acqua e i servizi igienico-sanitari di base, trasferiti al ministero dell’Integrazione e dello Sviluppo Regionale. Il cambiamento indebolirebbe l’attenzione ai molteplici usi dell’acqua, con possibilità d’aumentare i conflitti in questo campo.

Con le modifiche, Marina Silva, perde anche i sistemi informativi sui servizi pubblici d’igiene di base, la gestione dei rifiuti solidi e la gestione della risorsa idrica e altre misure essenziali per la tutela dell’ ambiente. Il livello decisionale dei due ministeri federali passerebbe a livello locale dei singoli governi statali della confederazione brasiliana. Ma la sconfitta più grave inflitta dal Congresso all’ambiente è il ritiro del Registro Ambientale Rurale dal Ministero dell’Ambiente, per passarlo al Ministero della Gestione e dell’Innovazione nei Servizi Pubblici. Il cambiamento renderebbe difficoltoso l’utilizzo di uno strumento fondamentale per il contrasto alla deforestazione e alla regolarizzazione ambientale delle proprietà rurali su tutto il territorio nazionale, soprattutto contro l’appropriazione indebita di terre pubbliche avvenute nell’area amazzonica e in terre indigene, soprattutto con il governo Bolsonaro. La misura provvisoria dovrà essere votata alla Camera e al Senato, ma il gabinetto presidenziale – secondo G1 giornale – ha fatto sapere di avere pochi margini per fare pressione sul congresso nazionale, affinché cambi idea nella disputa.

Il ministro delle Relazioni Istituzionali, Alexandre Padilha, ha dichiarato però che il governo porrà il veto alla modifica della legge sulla Foresta Atlantica e ci sarebbe l’impegno che il veto sia rispettato da parte del legislatore della misura provvisoria, Isnaldo Bulhões Jr. del Mdb il partito che ebbe ben sette ministeri alla fine del secondo mandato presidenziale di Lula (2007-2010). Il presidente difficilmente apporrà un veto contro le misure, poiché, se vuole mantenere in vita il suo governo di coalizione allargata, in un parlamento e senato dominato dalla destra e da bolsonaristi, dovrà fare compromessi politici, come li ha fatti nei suoi precedenti mandati presidenziali che hanno spaccato la sinistra e contribuito all’uscita dal partito di molti elementi storici del Pt, tra cui Marina Silva che ha poi fondato Rede ma anche Heloisa Helena, Babá, João Fontes e Luciana Genro, fondatori poi de Psol, appunto, il partito di Guajajara, la ministra dei Popoli Indigeni.

Lula l’ha incontrata, per rassicurarla che manterrà fede all’accorso con gli indios. L’incontro è avvenuto a porte chiuse assieme all’ex petista Marina Silva, la quale si dimise come ministra dell’Ambiente del governo Lula del 2008, per le difficoltà avute nel costruire una politica ambientale coerente ed efficace, ma anche per la legalizzazione dei prodotti transgenici della Monsanto e la costruzione di dighe in Amazzonia, come quella di Belo Monte e altre nel Cerrado. Le due ministre sebbene indignate non si dimettono ma si dicono allarmate, deluse, forse tradite, non solo per la nuova misura provvisoria con cui potrebbero essere depauperate dei loro poteri ministeriali, ma per il fatto che chi ha votato a favore della misura provvisoria, ci sono anche deputati de Pt. L’organizzazione Observatório do Clima, che riunisce una rete di 78 entità della società civile impegnate nella difesa dell’ambiente , non ha risparmiato critiche al parlamento e all’esecutivo: “Jair Bolsonaro è passato, ma il gregge è rimasto e con partner insoliti” – si legge in una nota – “il congresso è dominato dal gruppo ruralista di estrema destra che, dall’inizio dell’anno, cerca di far approvare tutto ciò che il bolsonarismo non è riuscito a fare”.

La nota sottolinea poi che il governo Lula “non ha nemmeno finto di indignarsi quando ha scoperto di non comandare nemmeno l’organizzazione dei propri ministeri“. In effetti, il Pt, al Senato, ha persino festeggiato sui social la “vittoria” dell’approvazione in commissione. “Mettendo in palio l’agenda socio-ambientale nel gabinetto – si afferma nella nota – il governo Lula emula il suo predecessore che ha iniziato a smantellare i ministeri proprio ritirando le sue attribuzioni. E contraddice il discorso ambientalista del presidente che ha giurato di proteggere le popolazioni indigene e rafforzare la lotta contro la deforestazione e il cambiamento climatico”.

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