Una collaborazione aperta, proficua e costruttiva colla Repubblica popolare cinese nel rispetto reciproco e in quello del principio di non ingerenza negli affari interni è nell’interesse non solo dell’Italia, ma dell’Europa e del mondo intero. Occorre infatti far avanzare cooperazione e dialogo per dare risposta ai problemi urgenti che stanno distruggendo il nostro futuro.

Ma dallo sciagurato vertice del G7 di Hiroshima viene un segnale in direzione esattamente opposta a questa sacrosanta esigenza. I sedicenti leader delle principali nazioni industrializzate ivi congregati, ovvero i principali responsabili della crisi drammatica che la comunità internazionale sta vivendo e di altre ancora, hanno infatti preferito continuare a cullarsi in obsoleti e antistorici sogni colonialistici, concentrando proprio contro la Cina la propria arrogante acrimonia. Il Comunicato finale rispecchia pienamente questo approccio del tutto inadeguato. Da un lato esso configura il G7 come una sorta di caricatura del governo mondiale che sarebbe realmente necessario, prendendo in considerazione, sia pure in termini oltremodo vaghi, fumosi e a volte contraddittori, vari dei problemi globali accennati; dall’altro si occupa in termini alquanto aggressivi della Cina e, dopo aver pagato un omaggio quanto mai formale al ruolo della stessa (che ovviamente non può essere ignorato da nessuna persona sana di mente, neanche se affiliata a qualche governo occidentale o filo occidentale), si profonde in una serie di punti che mirano con ogni evidenza ad approfondire e avvelenare il contenzioso colla Cina stessa, da Taiwan, al Sinkiang, al Tibet, al Mare cinese al meridionale, al presunto non rispetto da parte cinese di norme internazionali nel campo economico, che sottintende la volontà degli Stati in questione di riaffermare la catastrofica ortodossia neoliberale che ha già fatto enormi danni al nostro Paese e al mondo intero.

E’ ovvio che a Joe Biden, e quindi ai suoi servi e camerieri (con tutto il rispetto per questa importante categoria di lavoratori che meriterebbe un salario minimo dignitoso, così come lo meriterebbe qualsiasi altra categoria), non può fregare di meno del destino degli Uighuri, dei Tibetani o degli abitanti di Taiwan, ma ha deciso di far leva su queste complesse problematiche per mantenere aperto un fronte conflittuale colla Cina. E sappiamo, per le dichiarazioni di strateghi di oltreatlantico, come tale operazione si accompagni, sul piano politico, alla preparazione, su quello militare, di una prossima guerra mondiale che a Washington viene sempre più ritenuta necessaria per evitare di perdere definitivamente il proprio vacillante primato internazionale.

Il Paese che a lungo tempo è stato la guida della comunità internazionale, ma che si caratterizza oggi più che altro per le stragi quotidiane nei centri commerciali e nei posti di lavoro, oltre che per la violazione massiccia dei diritti umani al proprio interno e per la prosecuzione dell’abituale politica imperialistica nei confronti del resto del mondo, sta quindi cadendo come un salame nella “trappola di Tucidide”, espressione coniata proprio da uno studioso statunitense per indicare la tendenza dello scontro tra potenze a trasformarsi in guerra aperta. E noi, servi e camerieri, con lui, nell’abisso senza fondo dell’economia di guerra che prepara la guerra guerreggiata.

Non è del resto casuale che lo stesso comunicato del G7 si soffermi sul conflitto ucraino solo per riaffermare il sostegno a Zelensky nella prospettiva di una sempre più improbabile controffensiva militare che porti a un’impossibile vittoria sul terreno, mentre nessuna attenzione è dedicata allo sforzo cinese e a quello vaticano di trovare la strada del cessate il fuoco e del negoziato.

La tenera foto nella quale Meloni appare come una scolaretta mano per la mano con nonno Biden è stata contrabbandata da qualche giornalista (in questo caso di destra) un po’ suonato come una testimonianza del fatto che l’Italia sarebbe tornata al centro della comunità internazionale. Essa invece costituisce la rappresentazione iconografica del triste stato di subalternità del nostro governo a quanto deciso e argomentato da Washington. Servi(e) e camerieri(e) appunto, anche se Giorgia prende ancora tempo per riflettere sui rapporti colla Cina e, a detta di qualche commentatore, “fa l’equilibrista”. Speriamo, nell’interesse nazionale e in quello della pace mondiale, che abbia il coraggio di dire no a nonno Biden, oppure, meglio ancora, che dal popolo italiano emergano forze in grado di soppiantare sia lei che la sua alter ego piddina, e di porre finalmente in atto una politica sensata, ragionevole e sensibile ai valori dell’umanità, primo fra tutti quello della pace. Il che sarebbe in piena consonanza coi veri sentimenti dominanti sul piano internazionale, che vedono l’Occidente, reduce da secoli di crimini coloniali impuniti, sempre più isolato e inconcludente.

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