di Stefano Briganti

Il 13 maggio è una data da far ricordare ai posteri. Una data che si aggiunge al 22 settembre 2022 (Zelensky: “L’Ucraina non negozierà con la Russia finché Vladimir Putin ne sarà il presidente”), al 23 novembre 2022 (la Ue dichiara la Russia sponsor del terrorismo), al 21 marzo 2023 con il rigetto da parte degli Usa della iniziativa cinese per la pace, al 5 maggio 2023 (Borrell: “Questo non è il momento di conversazioni diplomatiche sulla pace. È il momento di sostenere la guerra”).

Il 13 maggio Zelensky ha seccamente rifiutato la proposta di Papa Francesco per un cessate il fuoco e dare inizio ad una mediazione per la pace. L’ “Occidente cristiano” ha ignorato il fatto e ha risposto con altre armi a Kiev. Vengono in mente la famosa frase di Stalin rivolta al Papa che intervenne durante il trattato di Yalta: “Quante divisioni ha il papa?” e, più recentemente, quella di George Bush jr. che all’appello di Papa Giovanni Paolo II a non invadere l’Iraq, rispose: “Non mi farò influenzare dal Papa”.

La risposta di Zelensky è stata: “Non ci servono mediatori”.

Oggi è ancora più evidente che l’ “alleanza occidentale” non cerca e non vuole una pace negoziata. Se non si vuole discutere di altro se non i “10 punti di Zelensky”, se Zelensky non vuole negoziare con Putin al potere, se la Ue non può negoziare avendo etichettato la Russia come uno Stato con il quale non si può negoziare (Stato terrorista), se a nessuno è concesso il ruolo di mediatore, allora non può esserci alcuna pace che non passi per una resa incondizionata. Solo così infatti non c’è bisogno di alcuna negoziazione per giungere ad una tregua, perché il vinto non può porre condizioni da negoziare col vincitore che impone le sue e basta. È questo l’approccio di Zelensky e di chi lo sostiene.

Sappiamo che la Russia ora considera questa guerra come esistenziale e il cui esito deciderà della Federazione Russa come la conosciamo oggi. Questo non va dimenticato e perciò andrebbe letto il discorso di Putin alla Duma e alla Nazione del 21 febbraio. Putin fa sapere al mondo e al suo popolo che non potrà esserci una resa incondizionata da parte della Russia perché questo significherebbe la fine della Federazione.

Qual è dunque la “scommessa” di Kiev e dei suoi “alleati”? Quella che non viene detta. Che Mosca, all’angolo e con nessuna apertura negoziale, preferisca la sconfitta piuttosto che passare alle armi nucleari tattiche. Fintanto che la Russia ha armi convenzionali da usare, la guerra proseguirà magari per anni. Mosca è frenata dall’utilizzare armi non convenzionali solo dalla Cina che condanna l’uso di armi nucleari. Ma se la Cina, vedendo rigettati i suoi sforzi diplomatici, prendesse con Mosca la stessa posizione che gli Usa hanno preso con Kiev (“Questa è la guerra dell’Ucraina e sta a lei decidere come difendersi”) o se Mosca venisse attaccata, allora le cose cambierebbero.

Quando Putin deciderà che non ci sarà altra scelta per la Russia che passare all’uso di armi nucleari tattiche sull’Ucraina, davvero Zelensky si aspetterà un intervento nucleare sulla Russia (che ha 6000 testate nucleari), da parte di Usa-Nato e relativa Terza guerra mondiale nucleare? Si parla di “vittoria” riferendosi sempre a Kiev. E se ce ne fosse una nucleare di Mosca su Kiev?

Oggi 15 maggio, il futuro dell’Europa è appeso alla scommessa fatta da “scommettitori” che dicono di aver a cuore il continente e chi lo abita. Se l’azzardo farà perdere la scommessa e la radioattività si stenderà su mezza Europa e su un decimo della Russia, allora per gli europei sarà “dolore e stridor di denti”. Se invece la scommessa sarà vinta, all’Europa toccheranno decenni di iper Guerra Fredda con odi e rancori al di la e al di qua dei confini russi. In entrambi i casi, disastrosi, a nulla varrà dire: “Colpa di Putin, ma noi siamo stati fermi nel non negoziare mai una pace con lui neppure se a chiederla era la voce del Papa”.

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