Che cosa spinge un afghano a lasciare il proprio paese, rischiando la morte per raggiungere l’Europa? Per rispondere a questa domanda basterebbe ascoltare le storie delle persone ricoverate negli ospedali di Emergency in Afghanistan. L’associazione, fondata da Gino e Teresa Strada, è presente nel paese dal 1999 con i suoi centri chirurgici, pediatrici e di maternità oltre a una rete di oltre 40 posti di primo soccorso.

Soltanto nell’ultimo anno sono state ricoverate oltre tredicimila persone. Tra questi c’è Karim, 18 anni. Per cercare un futuro migliore si è affidato ai trafficanti di uomini che avrebbero dovuto accompagnarlo in Iran per poi proseguire la rotta verso l’Europa. Ma di notte è stato abbandonato sul confine e la polizia iraniana gli ha sparato alla gamba. Espulso dal paese, è riuscito a raggiungere un ospedale di Emergency dopo dodici giorni di cammino. Gli hanno dovuto amputare la gamba per salvarlo. Quella di Karim non è una storia isolata. “Dopo la presa del potere dei talebani è aumentato il numero di afghani costretti a fuggire, la maggior parte sono donne” racconta al fattoquotidiano.it Stefano Sozza, direttore del programma di Emergency in Afghanistan.

I fattori sono molteplici. “Innanzitutto la discriminazione di attivisti per i diritti umani, delle minoranze etniche e religiose, e delle persone che hanno avuto rapporti con le organizzazioni o le forze militari dei governi occidentali”. Queste discriminazioni spesso consistono in “esecuzioni extragiudiziali e incarcerazioni” racconta Sozza aggiungendo che oggi si vive in un clima di insicurezza diffuso “causato dalla presenza di gruppi terroristici”. E poi ci sono le nuove restrizioni imposte dai talebani soprattutto nei confronti delle donne. “È diventato sempre più difficile per donne e ragazze vivere” spiega Sozza raccontando le preoccupazioni che quotidianamente vengono espresse anche dallo staff medico afghano. “Un nostro infermiere ha due figlie che vorrebbero studiare all’università ma non possono a causa delle nuove restrizioni. Si ritrova così di fronte a un grande dilemma: o farle rimanere nel paese sapendo che non c’è possibilità per una vita dignitosa per loro oppure provare a farle espatriare”. Ma le vie legali per uscire dal paese sono minime. “Da più di un anno queste due ragazze aspettano un passaporto e un visto e nel frattempo sono costrette a studiare a casa da autodidatte”. L’unica alternativa per chi vuole lasciare il paese è affidarsi ai trafficanti di uomini esponendosi al pericolo di rapimenti, violenze, abusi fino al rischio di annegare come è accaduto a Cutro. La maggioranza delle vittime arrivava proprio dall’Afghanistan. Cercavano di scappare da una situazione caratterizzata dall’aumento della povertà, della disoccupazione e dell’insicurezza nel paese”.

Un quadro che emerge dal report “Accesso alle cure in Afghanistan: la voce degli afgani in 10 province” curato da Emergency per fotografare la situazione sanitaria del paese dopo il cambio di governo nell’agosto 2021. I dati raccolti nel report sono preoccupanti. Un afgano su due, tra i partecipanti alla ricerca, non può acquistare i medicinali necessari per curarsi. Oltre l’85 per cento è costretto a indebitarsi per pagare le cure. Nell’Afghanistan di oggi l’accesso ai servizi sanitari continua ad essere un percorso a ostacoli. “Non ci sono ambulanze in caso di emergenza. Le strutture sono inadeguate, sprovviste di personale specializzato, macchinari, elettricità e acqua, soprattutto nelle zone rurali – scrive Emergency nel suo report – e questa è l’eredità di 40 anni di guerra e di politiche inefficaci che hanno reso l’Afghanistan dipendente dagli aiuti internazionali e la sua popolazione estremamente vulnerabile”. L’Ufficio per gli Affari Umanitari delle Nazioni Unite ha stimato che 17.6 milioni di afgani avranno necessità sanitarie gravi o estreme. “Dopo il ritiro delle forze internazionali e del cambio di governo dell’agosto 2021 le riserve dell’Afghanistan all’estero sono state congelate, le nuove autorità interdette dalla comunità internazionale e le delegazioni diplomatiche occidentali evacuate – conclude Sozza – siamo qui da 23 anni e per noi lasciare il paese non è mai stata un’opzione ma attraverso questo report abbiamo deciso di dare voce agli afgani affinché il paese torni a essere in cima alle priorità dell’agenda della comunità internazionale”.

Articolo Precedente

Caro affitti, sono ammirato dalle proteste degli studenti. Mentre il governo non dà risposte

next
Articolo Successivo

Per Piantedosi non c’è nessuna emergenza sicurezza. Ma il numero degli stupri dice altro

next