Non si candidano, dunque non vengono eletti. Non fanno comizi, né ricoprono incarichi politici. Sono solo cittadini estratti a sorte, sulla base di criteri socio- statistici e demografici (sesso, età, tipo di area urbana, regione di provenienza, livello di istruzione e categoria socio-professionale). Assemblee, comitati, consigli, di uomini e donne sorteggiati, rappresentativi di una comunità più ampia: la loro. Compito? Deliberare in maniera più veloce e precisa su specifici argomenti di interesse pubblico su cui i Parlamenti invece da tempo sono bloccati. Si chiama democrazia aleatoria. L’innovazione sta investendo l’Europa. E in Italia non ce ne siamo accorti.

Per combattere l’astensionismo e la sfiducia nei confronti delle elezioni in molte democrazie europee si sta tentando di coinvolgere la popolazione e riaccendere la passione della partecipazione, attraverso il sorteggio statistico e mettendo in moto la coscienza collettiva con la deliberazione. Ad aprile scorso in Irlanda è iniziato il terzo esperimento simile per riformare la legge sulle droghe; a Lisbona si è chiuso da poco il secondo Consiglio dei cittadini (voluto da un’amministrazione di centrodestra) per ridisegnare la mobilità della città. In Francia, dopo l’assemblea sul clima dello scorso anno, Macron – prima di finire nell’occhio del ciclone per la riforma delle pensioni imposta contro il volere popolare – ha affidato alla Convention citoyenne sur la fin de vie (Convenzione dei cittadini sul fine vita) il compito di riscrivere la legge sul fine vita: una riforma molto sentita dai francesi. In Germania il numero delle assemblee cittadine locali estratte a sorte, così come le iniziative per istituirle, è cresciuto costantemente negli ultimi anni. A settembre si aggiungerà la prima assemblea cittadina ufficiale a livello federale. Esperienze analoghe sono in corso inoltre in Spagna, Svizzera, persino nei Balcani.

Il caso più interessante è quello del Belgio in cui attualmente sono addirittura quattro i comitati cittadini deliberativi costituiti con il sorteggio. In Ostbelgien, il cantone tedesco, da questo mese i sorteggiati sono chiamati a discutere e fornire proposte sul tema dell’integrazione dei migranti. A Bruxelles, invece, oltre all’Assemblea permanente sul clima, composta da cento cittadini, che cambiano ogni anno, si sono da poco insediate altre due importanti esperienze: quella sul finanziamento pubblico dei partiti e quella per definire i nuovi limiti del rumore in città. Il dibattito in questi Paesi appena citati è talmente avanti rispetto all’Italia che tra i sostenitori della democrazia deliberativa non si discute più se il sorteggio sia o no un metodo scientifico adeguato, piuttosto ci si confronta su quale tipo di estrazione a sorte è più conforme alla dottrina.

In Italia in principio fu Beppe Grillo a parlarne. Scatenò reazioni ironiche e paure antisistema. Poi è toccato ad Enrico Letta che da docente di Sciences-Po (l’Institut d’Études politiques de Paris) disse: visto che la democrazia rappresentativa è in difficoltà, perché non provare ad affiancarle forme nuove di partecipazione e deliberazione basate sulla sorte? Ma parlava da docente, da segretario del Pd non ha mosso (o non ha potuto muovere?) un dito in questa direzione. Sono passati anni anche dalla presa di posizione dell’Economist che invitò i politici a non aver paura e a “prendere sul serio le Assemblee di cittadini, perché possono risolvere problemi che i professionisti della politica hanno paura di affrontare”, ma nulla è cambiato in casa nostra.

Il tema è sempre tabù, nonostante gli elettori continuino a diminuire elezione dopo elezione. Ma laddove la sperimentazione di questi modelli è stata fatta, cosa ha prodotto? In Irlanda, grazie al lavoro di un’Assemblea di cento cittadini (mescolati a politici eletti) è stata varata per esempio la riforma sui matrimoni gay e la legalizzazione dell’aborto (fino ad allora reato). Tutti temi su cui i condizionamenti etico-religiosi, nonché le divisioni partitiche, rallentano le riforme.

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