di Savino Balzano

Sono sempre stato contrario a ipotesi di riforma profonde della nostra Costituzione: banalmente credo che gli uomini e le donne che l’hanno scritta fossero infinitamente migliori della nostra attuale classe politica. Insomma, con tutto il rispetto per la persona, rabbrividisco all’idea di Ignazio La Russa padre costituente.

Quando la politica mette le mani sulla Costituzione c’è da tremare: penso alla scellerata riforma del Titolo V realizzata dal centro sinistra nel 2001, una porcheria rara. Ricordo gli anni dell’Università, a Perugia, e le ore di lezione spese a cercare ci capirci qualcosa: convegni su convegni con luminari che tentavano percorsi utili a contenere i disastri provocati da quell’intervento.

Poi ci fu la zozzeria del pareggio di bilancio voluta dal Quirinale, dall’Unione Europea e servilmente introdotta dal Governo Monti: un abominio palesemente incostituzionale, in pieno contrasto con i principi solidaristici e universalistici della nostra Carta. Da quel momento, i conti in ordine divennero importanti tanto quanto (se non dipiù) la sanità, l’università, la scuola, le infrastrutture, la sicurezza sociale.

Mi ubriacai quando Renzi perse il referendum: sia perché non l’ho mai sopportato, sia perché quegli interventi sarebbero stati lo specchio della classe politica che li aveva ideati e non saprei cosa scriverne di peggio.

Non dimentichiamo il taglio al numero dei parlamentari, frutto della peggiore ottusità autolesionista pentastellata, che ha di fatto depotenziato la rappresentatività del Parlamento, peraltro rafforzando la “casta” che si voleva abbattere.

Scherzando (mica tanto) mi piace presentarmi come un feticista della Costituzione: la amo intimamente, trovo illuminanti e illuminati i principi che la animano e rappresenta un programma che se attuato ci renderebbe tutti felici. Nonostante questo, penso che oggi abbiamo un problema, un problema grosso e si chiama Presidente della Repubblica.

In molti temono un ridimensionamento dell’istituzione: ma magari! Il Quirinale è diventato un vulnus per il nostro Paese. Lo è diventato con Napolitano ed è esploso con Mattarella. Il Presidente della Repubblica ha assunto un ruolo debordante, letteralmente straripante, e questo senza uno straccio di legittimazione popolare. Il che è aggravato dal fatto che adesso si fanno pure rieleggere: forse aveva davvero ragione chi pensava che Sergio volesse fare le scarpe a Mario fin dal principio, catapultandolo a Palazzo Chigi e di fatto impantanandocelo.

Di cosa è garante oggi il Quirinale è il punto della questione: ve lo immaginate Pertini porre il veto rispetto alla nomina di un ministro per non destabilizzare i mercati? Oggi il Presidente della Repubblica è garante della finanza internazionale, dei conti in ordine, dei diktat di Bruxelles e questo è un problema enorme per il Paese, perché si insinua nelle crisi politiche per imporre governi nefasti per la comunità nazionale.

Pensateci: torna la narrazione del Pd quale difensore della Costituzione. E vorrei ben vedere: ogni volta che un governo casca, quelli finiscono in maggioranza e arraffano tutto. L’attuale sistema istituzionale è una garanzia di potere per il Partito Democratico: la forza politica che più di ogni altra ha disapplicato la Carta stessa con interventi di precarizzazione e macelleria sociale. Custodi sì, ma anche loro non della Costituzione.

E allora occhio perché è necessario (non sufficiente, ma è un primo passo) risolvere i problemi del Quirinale: depotenziandolo o infondendogli un minimo di legittimazione politica e democratica. Personalmente non credo che il Governo necessiti di ulteriori rafforzamenti: l’esecutivizzazione del Paese è palese e quasi tutta la produzione legislativa è a iniziativa governativa o frutto di decretazione (d’urgenza, ma anche delegata): credo serva esattamente l’opposto, ovvero il rafforzamento di un Parlamento ridotto ormai a una cloaca di infimi trasformismo e consociativismo.

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