Se un qualunque cittadino fosse chiamato a rendere un interrogatorio con un avviso di garanzia che non specifica le accuse penserebbe giustamente di subire un abuso di potere. La legge impone di chiarire qual è il reato commesso e quale la condotta incriminata e questo è un elemento basilare del principio di legalità. Questo principio è valido anche per le azioni disciplinari, un’ovvietà che evidentemente è sfuggita al Consiglio di Disciplina Territoriale dell’Ordine dei Giornalisti del Lazio che ha convocato il nostro collega Mario Natangelo, vignettista del Fatto, per il 7 giugno.

Mario è da settimane bersaglio di attacchi per una vignetta satirica che ironizza sulle ossessioni anti-immigrati della destra che raffigura la moglie del ministro Francesco Lollobrigida, Arianna Meloni, sorella della premier, a letto con un uomo nero mentre il marito è fuori intento a combattere la “sostituzione etnica”. Questi attacchi hanno visto andare in scena il peggio del sistema informativo italiano. Alla famiglia Meloni sono arrivati attestati di solidarietà da giornalisti e mezzo arco parlamentare, mentre il lavoro di Natangelo è stato insultato, tra gli altri, dal presidente dell’Ordine Nazionale Carlo Bartoli e da quello di Stampa Romana, Paolo Tripaldi, ex collaboratore del gruppo parlamentare di Fratelli d’Italia.

La mossa non è solo l’ennesimo atto intimidatorio nei confronti di un collega: apre un capitolo gravissimo che dovrebbe spaventare tutti i giornalisti italiani, anche quelli che pensano di ingraziarsi il potente di turno approfittando dell’occasione. Natangelo non viene solo convocato, gli viene comunicata di fatto l’apertura di un procedimento disciplinare che nella forma è totalmente arbitraria e immotivata. Lo si capisce leggendo la lettera stessa, che peraltro si apre con un periodo senza verbo che rende il tutto quasi comico.

Il procedimento disciplinare nei confronti dei giornalisti si può aprire su esposti di cittadini, su impulso del presidente dell’ordine o anche d’ufficio, ma deve essere incardinato su un comportamento ben delineato che integri una violazione deontologica. Quello che coinvolge Natangelo viene aperto sulla base di una “segnalazione” del presidente dell’Ordine del Lazio, Guido D’Ubaldo, “per le proteste legate alla pubblicazione” della vignetta. Quali proteste? Dove? Non c’è un esposto, ma D’Ubaldo che avvisa l’esistenza di un generico malcontento riguardo il lavoro del collega. Contattato al telefono ha confermato che non esiste nessun esposto. A Natangelo viene contestata “una possibile violazione dell’articolo 2 del codice deontologico”.

Al netto dell’errore (il codice deontologico impropriamente citato non esiste più e adesso si chiama testo unico dei doveri del giornalista), già di per sé grave viste le circostanze, non viene indicata la condotta contestata. Quale comportamento di Natangelo è qualificabile come violazione deontologica? Quale frase, quale parte del disegno? I componenti del consiglio di Disciplina presieduto da Vittorio Roidi non lo spiegano nella loro lettera. Nel frattempo però lo convocano e gli ricordano che se non si presenta il procedimento non si sospende. Ma nessuno può essere chiamato a difendersi senza sapere di cosa è accusato.

L’articolo 2 infatti non è scelto a caso: è un compendio di tutte le possibili violazioni (non a caso si chiama “fondamenti deontologici”): non delimita una condotta precisa ma abbraccia l’intera gamma della deontologia professionale, dal rispetto dei diritti fondamentali delle persone a quello per il “decoro” dell’Ordine. E’ come se si venisse indagati per “aver violato il codice penale”. Sembra una barzelletta ma è tutto tristemente vero e messo nero su bianco in un atto ufficiale.

Il Consiglio di Disciplina, infatti, non è un ritrovo di amici, ma un organo statutario imposto dalla legge. I suoi componenti sono nominati dal presidente del Tribunale e le sue decisioni sono appellabili. Nel 2011, nel dl “Salva Italia”, si è deciso di imporre agli Ordini di separare le funzioni amministrative da quelle disciplinari prevedendo organi appositi costituiti da persone che non ricoprono ruoli in entrambe. Un principio di separazione dei poteri che serve a rafforzare l’indipendenza degli organismi che devono giudicare le violazioni deontologiche, a tutela dei professionisti iscritti e, quindi, del mestiere giornalistico, che resta pur sempre un presidio di democrazia e la cui libertà va preservata.

Nel caso di Natangelo non avviene nulla di tutto questo: l’azione disciplinare viene usata per intimidire un collega, reo solo di aver fatto il suo lavoro di vignettista, e questo avviene nella più totale arbitrarietà. È un precedente pericolosissimo, di cui anche i diretti interessati dovrebbero prendere coscienza. Si può finire a processo disciplinare sulla base di generiche proteste e senza nemmeno sapere di cosa si è accusati di preciso. Gli organi disciplinari dell’ordine convocano un loro iscritto che ha pubblicato una vignetta satirica sul governo e, in sostanza, gli dicono: “Forse hai fatto qualcosa di male, vieni qui e vediamo”. E’ un’azione a suo modo squadrista. I giornalisti italiani sono avvisati.

Aggiornamento delle ore 16.00

D’Ubaldo si è difeso oggi (11 maggio) spiegando di essere stato obbligato dalla legge a girare al collegio di disciplina le segnalazioni ricevute. Secondo lui c’è stato “troppo clamore” intorno alla vicenda: “Il collega deve essere solo ascoltato – ha detto – Non è un processo. E’ solo una verifica della situazione, verranno posti vari quesiti al giornalista. Io credo che il collegio valuterà in maniera molto rispettosa del collega e del diritto di satira, e faranno le loro valutazioni”. Il presidente dell’Ordine del Lazio non si accorge di rendere ancora più grave la vicenda: è la lettera stessa di convocazione di Natangelo a chiarire che si tratta di un procedimento disciplinare. Non si capisce poi cosa dovrebbe dire il nostro collega per convincere i membri del collegio che non ha violato un bel nulla se nemmeno sa di cosa è accusato di preciso: gli deve interpretare la vignetta? Gli deve chiarire con che intento l’ha fatta o chi è il protagonista?

D’Ubaldo sa bene che la legge gli impone di trasmettere gli esposti, ma lui parla di “segnalazioni”. In ogni caso il collegio di disciplina valuta il da farsi, cioè se archiviare o procedere ma deve chiarire la condotta contestata. Qui invece convoca un collega che deve andare a difendersi senza sapere di cosa è accusato e quindi come impostare la sua difesa. Se passa questa linea d’ora in poi qualunque articolo che non piace a qualche potente e genera proteste può provocare la convocazione immotivata del collega da parte del collegio di disciplina. Ripeto: è gravissimo.

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