Il 6 maggio 1976 un terremoto di magnitudo 6.4 durato un minutoha devastato più di 100 Comuni del Friuli uccidendo quasi mille persone, ferendone 3mila e distruggendo case, chiese, monumenti. Come ogni anno, anche questo 6 maggio alle 21 il sisma che i friulani chiamano “Orcolat“, l’orco, sarà commemorato con rintocchi di campane a martello a Basaldella, a Bressa, Campoformido. A Gemona, la cittadella medievale completamente rasa al suolo, in cui sono morti circa 400 abitanti, ci sarà il presidente della Regione Massimiliano Fedriga. Tanti gli incontri pubblici in vari comuni della zona del sisma.

Tra maggio e settembre del 1976 le scosse sono state centinaia. Centomila persone sono rimaste senza casa. Centinaia le chiese e aziende distrutte in un attimo. Da lì in poi gli abitanti delle zone colpite dal sisma si sono rimboccati le maniche e giorno dopo giorno hanno ricostruito secondo efficienti principi rimasti nella storia come il “modello Friuli“. La tradizione rurale e di montagna si è mescolata con uno spirito di riscatto, sviluppando anche l’avanguardia industriale della Regione.

In occasione della commemorazione del terremoto, Rai Cultura trasmette “6 maggio 1976. Terremoto in Friuli” di Antonia Pillosio, alle 19.30 su Rai Storia. Grazie agli spunti inediti suggeriti dal Commissario Straordinario Giuseppe Zamberletti – scomparso 4 anni fa -, che ha condiviso con il popolo friulano quei momenti tragici, è possibile comprendere meglio quanto il sisma abbia segnato la storia moderna del Friuli. Per consentire ad agricoltori, allevatori e tecnici di rimanere nelle zone terremotate Zamberletti, come ha raccontato lui stesso a ilfattoquotidiano.it nel 2016 in occasione dei 40 anni dal sisma, chiese ai prefetti di requisire le roulotte: “Ne arrivarono in Friuli più di 5mila, in colonne guidate dai presidenti delle Regioni. Fui sommerso dalle critiche, avevo contro tutti. Ma a marzo, quando le radunammo a Campoformido per restituirle, i proprietari le trovarono in perfette condizioni. E in ognuna i terremotati avevano lasciato un mazzo di fiori“.

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