“Chiudere quei manicomi è stato giusto, un atto di umanizzazione, ma la legge sulle Rems è stata un fallimento. Siamo in una perenne condizione di pericolo mentre per soggetti come l’aggressore di Barbara non esistono strutture adeguate. Dunque restano a piede libero. Liberi di fare del male”. Così Giuseppe Nicolò, direttore del Dipartimento di salute mentale della Asl5 di Roma, in un’intervista a La Repubblica, commentando il caso della psichiatra morta in seguito alla brutale aggressione da parte di un ex paziente. “Conoscevo bene Barbara Capovani, una collega straordinaria, la cui unica colpa è stata quella di aver cercato di curare l’uomo che l’ha aggredita. Tre figli, una leader, di enorme umanità con i suoi pazienti. Questa è una tragedia annunciata. Sono anni che denunciamo i gravissimi rischi di chi lavora nel campo della salute mentale, in particolare nelle “Rems”. Ma nessuno ci ha ascoltati”.

Le Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza sono strutture nate dopo la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari nel 2015, nelle quali vengono ricoverati soggetti con problemi mentali che hanno commesso reati. Un tempo c’erano gli ospedali psichiatrici giudiziari poi sostituiti dalle Rem dove secondo il medico “è stato totalmente sottovalutato il criterio della sicurezza, anche per ragioni ideologiche. Se negli “Opg” i pazienti venivano soltanto contenuti e non curati, oggi nelle Rems prevale, giustamente, l’aspetto sanitario. Ma noi trattiamo persone che hanno anche una pericolosità sociale, hanno commesso reati, possono aggredire e spesso aggrediscono. Però nelle Rems non è previsto alcun servizio di sicurezza. Vi sembra possibile?”. Anche se Gianluca Paul Seung, l’aggressore non sarebbe stato destinato a una residenza “può accadere che soggetti come lui, intrattabili con i farmaci, di violenza incoercibile ma non incapaci di intendere e di volere, vengano poi inseriti nelle Rems o nelle case famiglia per mancanza di alternative. Con gravissimi danni per i pazienti ed enorme rischio per medici e operatori”. Il problema quindi è che questi pazienti di fatto non hanno una collocazione: “Hanno un disturbo psichiatrico, in questo caso narcisistico e paranoico, ma anche atteggiamenti antisociali. Sono imputabili, processabili ma in carcere sono ingestibili. Quindi quando vengono condannati finiscono sempre ai domiciliari. E poi a piede libero“. La struttura adeguata dovrebbe prevedere “Percorsi carcerari ad alta sanitarizzazione. Sull’esempio delle “Sdpd” inglesi, reparti di massima sicurezza con assistenza psichiatrica”.

Oggi gli psichiatri e gli altri addetti sanitari si sono fermati alle ore 12 davanti all’ospedale di Pisa e nel resto d’Italia non solo per ricordare la dottoressa ma anche per denunciare “commenti irripetibili comparsi sui social contro gli psichiatri e più in generale gli operatori sanitari” e per “chiedere tutela e invertire la rotta di una continua delegittimazione del ruolo e del servizio svolto dal personale sanitario”. E il ministro della Salute, Orazio Schillaci (nella foto) ha annunciato un tavolo: “Nel corso di questi ultimi mesi abbiamo già iniziato ad affrontare il tema della salute mentale e della riforma delle procedure per l’assistenza nelle strutture residenziali psichiatriche. Mercoledì 26 aprile ci sarà una nuova riunione per la riorganizzazione del tavolo sulla psichiatria. Dobbiamo fare in modo che quanto accaduto a Barbara Capovani non si ripeta“.

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