La pubblicità delle informazioni che riguardano il nostro ambiente è, ovviamente, un essenziale presupposto per ogni azione di tutela. Ed è per questo che, giustamente, l’Unione Europea sin dal 2003 ha disposto che “gli Stati membri provvedono affinché le autorità pubbliche siano tenute, ai sensi delle disposizioni della presente direttiva, a rendere disponibile l’informazione ambientale detenuta da essi o per loro conto a chiunque ne faccia richiesta, senza che il richiedente debba dichiarare il proprio interesse”. E conseguentemente, le nostre leggi successive, e in particolare il nostro Testo unico ambientale del 2006, hanno ribadito che, salvo alcune (poche) eccezioni, “chiunque, senza essere tenuto a dimostrare la sussistenza di un interesse giuridicamente rilevante, può accedere alle informazioni relative allo stato dell’ambiente e del paesaggio nel territorio nazionale”.

Come prevedibile, tuttavia, non sono mancate le controversie in quanto spesso le pubbliche amministrazioni interpretano questo principio in modo del tutto restrittivo e addirittura si rifiutano di rispondere ai cittadini che chiedono informazioni di tipo ambientale. Non solo in Italia. Due anni fa, su questo blog, ho dato notizia di una bella sentenza della Corte europea di Giustizia, la quale, per una controversia sorta in Germania sull’abbattimento di alberi nel parco del castello di Stoccarda, ha respinto tutte le obiezioni concludendo, tra l’altro, che “le eccezioni al diritto di accesso dovrebbero essere interpretate restrittivamente in modo da ponderare l’interesse pubblico tutelato dalla divulgazione con l’interesse tutelato dal rifiuto di divulgare”.

Recentemente, tuttavia, la nostra giurisprudenza amministrativa ha fatto registrare alcune decisioni che, invece, sembrano mettere parzialmente in discussione il principio secondo cui chi richiede informazioni ambientale deve riceverle senza dover dimostrare di avere un interesse giuridicamente rilevante. E’ appena stata pubblicata, infatti, una sentenza del Consiglio di Stato (Sez. IV n. 2635 del 14 marzo 2023) in cui si documenta e si riassume questo orientamento. Esso parte dal presupposto che chi richiede le informazioni ambientali può liberamente ottenerle solo se vi è una giustificazione di tipo ambientale, in quanto l’ordinamento “non può ammettere che di un diritto nato con specifiche e determinate finalità si faccia uso per scopi diversi”. E pertanto si è ritenuto legittimo il diniego opposto a una istanza di accesso ad informazioni ambientali, ove dall’istanza stessa emerga che l’interesse che si intende far valere non è un interesse ambientale e che lo scopo del richiedente è, in realtà, quello di acquisire dati di natura diversa, ovvero emulativi, concorrenziali, di controllo generalizzato, anticompetitivi ecc.; come, ad esempio, era avvenuto nel 2022 con riferimento ad un impianto di illuminazione per un campo da rugby di Verona dove l’interesse del richiedente non era di natura ambientale ma privatistica visto che ne usufruiva per la sua attività economica.

In altri termini, accogliere l’istanza, in quel caso sarebbe stato, secondo il Consiglio di Stato, un “abuso dello strumento in commento, che verrebbe piegato al perseguimento di interessi diversi rispetto a quelli presi in considerazione dal legislatore, interessi il cui rilievo preminente giustifica la latitudine amplissima entro la quale la legge consente l’accesso alle informazioni ambientali al fine di garantirne la più ampia diffusione. Nel caso di specie, la finalità che muove la ricorrente è dichiaratamente estranea all’interesse di matrice squisitamente ambientale, essendo la richiesta ostensiva volta a tutela di interessi di tipo economico”.

E pertanto – conclude la sentenza appena pubblicata – nonostante la legge non contempli per il richiedente dell’accesso all’informazione ambientale l’obbligo di dichiarare il proprio interesse, “il giudice chiamato a pronunciarsi sulla legittimità dell’eventuale diniego espresso o tacito (e prima ancora la stessa amministrazione) ben può pronunciarsi sull’effettiva sussistenza in capo al richiedente di un suo interesse propriamente ‘ambientale’ agli effetti dell’accoglibilità della sua richiesta di accedere alla documentazione asseritamente contenente le ‘informazioni ambientali’ da lui ricercate”.

Francamente, e con tutto il rispetto, non mi sembra trattarsi di una conclusione condivisibile. A mio sommesso avviso, infatti, se la legge dice che il richiedente non deve dimostrare le motivazioni della sua richiesta, nessun giudice può dire che, invece, occorre verificare se c’è un “interesse ambientale” o di altra natura. L’unica cosa che può e deve verificare è se si tratta realmente di una informazione relativa all’ambiente e se il caso non rientri nelle eccezioni previste. Altrimenti si fa rientrare dalla finestra quello che l’Europa ha fatto uscire dalla porta.

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