“Le vendette simboliche non ci interessano, la colpa della tragedia non può essere circoscritta a un’orsa. Ucciderla non significa fare giustizia. Pretendiamo un’assunzione morale di responsabilità da parte di chi per quasi un quarto di secolo ha gestito gli orsi in Trentino, spingendo tutti nel disastro a cui assistiamo”. A parlare è Carlo Papi, padre di Andrea Papi, il runner ucciso in Trentino dall’orsa JJ4, in una lunga intervista rilasciata a Repubblica, all’interno di un dibattito che ormai tiene banco da giorni. Di fronte alla decisione del presidente trentino Maurizio Fugatti, che ha firmato l’ordinanza di abbattimento dell’orsa (sospesa dal Tar), il padre della vittima si dice contrario perché “non ci restituirà nostro figlio” . “Troppo comodo – prosegue – cercare di chiudere questa tragedia eliminando un animale, a cui non può essere imputata la volontà di uccidere. Non ci interessano i trofei della politica: noi pretendiamo che ad Andrea venga restituita dignità e riconosciuta giustizia“.

Papi ha accettato di parlare per chiarire la posizione della famiglia, visto che alcune dichiarazioni “vengono distorte, o usate per uno scontro in cui non vogliamo essere coinvolti e che ci umilia”. Per il padre del 26enne che sul Monte Peller ha trovato la morte, quello che conta è che “qualcuno deve avere il coraggio di assumersi la responsabilità della morte di Andrea, anche a costo di fare un passo indietro rispetto al ruolo pubblico che ricopre”: questo perché nessuno – a detta del genitore – ha ancora spiegato le cause di una morte che “non è una morte naturale” e restano ancora oscure le dinamiche e i limiti evidentemente strutturali che hanno gettato le basi per questa tragedia. “Confidiamo nella Procura di Trento e nei nostri avvocati: il governo attuale della Provincia, come quelli che l’hanno preceduto, hanno il dovere di chiarire, assieme allo Stato, se è stato fatto il possibile per garantire la sicurezza”.

Papi ribadisce che la morte del figlio “si poteva evitare”. La reintroduzione degli orsi in un territorio come quello trentino (in seguito al progetto Life Ursus) non sarebbe stato sostenuto da informazioni adeguate per la gente che in quel territorio ci vive: “Le istituzioni non hanno fatto niente per spiegare alla gente come comportarsi con un numero così alto di orsi, cosa fare per prevenire incontri, quali zone non frequentare, come reagire a un attacco.” E continua: “Hanno lasciato tutti ignoranti e tranquilli, senza nemmeno installare i cassonetti anti-orso in tutti i paesi a rischio. Nessuno ha chiesto alla gente se condivideva la reintroduzione degli orsi, nessuno ha fatto il necessario per renderla compatibile con la nostra e la loro vita”.

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