Il tumore al pancreas rappresenta una delle forme di cancro più aggressive e complicate da trattare, per cui lo sviluppo di terapie mirate ed efficaci costituisce un obiettivo importantissimo per la medicina clinica. A compiere un significativo passo in avanti in questa direzione uno studio, descritto sulla rivista Advanced Science, condotto dagli scienziati dello Houston Methodist Research Institute. I ricercatori, sotto la guida di Corrine Ying Xuan Chua e Alessandro Grattoni, hanno progettato un nuovo dispositivo impiantabile, dalle dimensioni di un chicco di riso, mirato alla somministrazione di un farmaco immunoterapico.

Il tumore del pancreas, spiegano gli esperti, è una malattia oncologica che si manifesta nell’omonimo organo, responsabile della produzione di ormoni come insulina e glucagone, legati alla regolazione del livello di zuccheri nel sangue. Secondo i dati dell’Associazione italiana di oncologia medica (AIOM) e dell’Associazione italiana registri tumori (AIRTUM), nel 2022 in Italia sono stati diagnosticati 14.500 nuovi casi di neoplasie del pancreas. Questo tumore viene però spesso riconosciuto in stadio avanzato, quando la massa primaria ha già generato metastasi. Per tale ragione il tasso di mortalità ad esso associato risulta elevato. In particolare, riportano i registri AIRTUM, le probabilità di sopravvivenza a un anno dalla diagnosi si attestano a circa 34 e 37,4 per cento rispettivamente per gli uomini e le donne. A distanza di cinque anni, tali valori calano rispettivamente all’11 e al 12 per cento.

Le terapie attuali, nonostante i progressi della ricerca e della medicina, si limitano all’esportazione chirurgica della massa tumorale, che però è possibile solamente nel 20 per cento dei pazienti, in cui il tumore viene individuato in una forma ancora localizzata, e alla combinazione di radio e chemioterapie. Alcuni farmaci a bersaglio molecolare sono già utilizzati nella terapia di alcuni sottotipi di cancro pancreatico, ma tali approcci raramente si rivelano risolutivi. In determinate condizioni, la somministrazione di farmaci immunoterapici ha dimostrato di poter allungare significativamente l’aspettativa di vita dei malati, ma questi metodi vengono erogati in tutto il corpo, per cui possono provocare effetti collaterali e disagi che spesso si prolungano per diverso tempo, compromettendo la qualità della vita dei malati.

In questo lavoro, il gruppo di ricerca ha utilizzato un modello murino per valutare l’efficacia e la tollerabilità di un nuovo approccio pensato per facilitare e ottimizzare la somministrazione di anticorpi monoclonali (mAb) CD40 attraverso il seme nanofluidico a rilascio di farmaco (NDES). Questa strategia, ritenuta promettente in diverse sperimentazioni precedenti, è stata in grado di portare a una riduzione delle dimensioni del tumore negli animali trattati. Il dosaggio utilizzato, però, era circa quattro volte inferiore rispetto al trattamento tradizionale. Gli scienziati hanno inserito il dispositivo in uno dei tumori da cui erano affetti i topolini, ma le cellule cancerose sono diminuite significativamente anche nelle altre masse metastatiche. “Questo risultato – osserva Xuan Chua – implica che il trattamento locale con immunoterapia è stato in grado di attivare la risposta immunitaria dell’organismo, combattendo le cellule cancerose anche nel resto del corpo”.

Gli esperti hanno inoltre evidenziato che uno degli esemplari trattati è risultato libero dal tumore per tutti i cento giorni del periodo di osservazione. Uno dei vantaggi principali del dispositivo impiantabile, riportano gli autori, riguarda il fatto che il trattamento viene somministrato direttamente nelle cellule bersaglio. Le probabilità di intossicazione risultano pertanto significativamente ridotte, migliorando la qualità della vita dei pazienti oncologici. Il dispositivo nanofluidico sviluppato dal team si presenta con le dimensioni di un chicco di riso, e permette il rilascio controllato e prolungato dei farmaci. Questo approccio, che risulta minimamente invasivo, non richiede quindi trattamenti sistemici reiterati, che possono aumentare il rischio di effetti collaterali indesiderati e invalidanti.

“Il nostro obiettivo – dichiara Alessandro Grattoni, Presidente del Dipartimento di Nanomedicina presso lo Houston Methodist Research Institute – è quello di trasformare le possibilità di trattamento per i pazienti oncologici. Il nostro dispositivo potrebbe rappresentare un passo in avanti considerevole in questa direzione, consentendo di raggiungere il tumore in modo efficace e minimamente invasivo. Sono in corso ulteriori ricerche di laboratorio per determinare l’efficacia e la sicurezza di questa tecnologia di somministrazione. Speriamo che il nostro metodo possa essere implementato tra le opzioni di trattamento per i pazienti nei prossimi cinque anni”.

Lo studio

Foto Advanced Science

Valentina Di Paola

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