Caos in Sudan. All’alba diversi veicoli militari con truppe sono entrati nel complesso che ospita la residenza ufficiale del presidente nella capitale Khartoum. Da quel momento si sono rincorse diverse voci fino all’annuncio ufficiale delle dimissioni del presidente Bashir che lascia il potere dopo 30 anni di governo. Mentre la folla giunta nella capitale esultava in piazza salendo sui carri armati e affratellandosi con l’esercito, è stato insediato un governo militare. L’annuncio è arrivato dal vicepresidente Awad Ibn Auf che comunicato la presa del potere da parte di un “consiglio militare” per due anni con sospensione della costituzione. I manifestanti, guidati da un sindacato non riconosciuto dal regime, non hanno però intenzione di demordere nel chiedere un governo di transizione civile: “Continueremo a mantenere il controllo delle strade. Vi diamo appuntamento lì“.

Le dimissioni di Bashir dopo trent’anni
La lunga giornata di Khartoum è iniziata all’alba, quando diversi veicoli militari con truppe sono entrati nel complesso che ospita la residenza ufficiale del presidente e il ministero della Difesa. Diverse voci si sono rincorse durante la mattinata mentre in piazza civili e militari esultavano insieme.
Dopo le nove del mattino è arrivato l’annuncio che tutti i manifestanti attendevano. Il ministro per la produzione e le risorse economiche del Darfur Settentrionale, Adel Mahjoub Hussein, ha comunicato in televisione le dimissioni del presidente al potere dal 1989. Sono state anche dichiarate aperte “consultazioni per dare vita ad un consiglio militare“.
Secondo l’emittente Al Hadath, l’aereo presidenziale era pronto per decollare quando i militari – che presidiano l’aeroporto sin dall’alba – lo hanno bloccato a terra.

L’annuncio di un ‘repulisti’ dei funzionari del partito
Un altro media – Al-Mashhad Al-Sudany, citato dall’agenzia russa Tass – ha parlato di arresto per il premier sudanese Mohamed Tahir Ayala con più di un centinaio di altri esponenti dell’entourage del presidente Bashir. Tra questi ci sarebbero il comandante della Guardia repubblicana, l’ex ministro della difesa Abdel Rahim Mohammed Hussein, il leader del partito del Congresso nazionale, Ahmed Haroun, e l’ex vice presidente Ali Osman Taha. I militari hanno anche fatto irruzione negli uffici di un gruppo legato al Partito del congresso nazionale dell’ex presidente: il Movimento islamico, l’ala ideologica del partito.  L’annuncio di un “repulisti” è corredato dalla notizia della liberazione di tutti i detenuti politici nel Paese da parte dell’apparato di sicurezza e dei servizi segreti nazionali.

L’annuncio del vicepresidente
Secondo diverse fonti, l’incarico di presidente ad interim sarebbe stato assunto dal primo vicepresidente Awad Ibn Auf che si era opposto all’uso della violenza contro le proteste in corso da venerdì 5 aprile.
Proprio l’ex capo dell’intelligence militare Ibn Auf ha annunciato alle 14, in un messaggio letto in tv, che ci sarà un periodo di transizione di “due anni” durante il quale sarà al potere un “consiglio militare”. Dopo questo periodo si dovrebbero tenere “libere elezioni“. Intanto però la costituzione è stata sospesa.
Il ministro della difesa ha anche annunciato la chiusura dei confini per 24 ore e comunque “fino a nuovo ordine”: “tutte le direttrici” di ingresso e di uscita dal paese saranno bloccate. Il provvedimento riguarda anche lo spazio aereo: infatti l’aeroporto di Khartoum è bloccato da questa mattina. É stato imposto inoltre uno Stato d’emergenza  per “tre mesi” e un mese di coprifuoco notturno dalle 22 alle 4 del mattino.
Il vicepremier ha anche dedicato una nota all’ex presidente Bashir: “Il regime è caduto e il suo capo è detenuto in un luogo sicuro”.

La risposta della piazza
La piazza non ha approvato l’esito del golpe che contraddice quanto richiesto dai manifestanti: “Invitiamo tutta la popolazione nella capitale e nelle altre regioni a recarsi nei luoghi dei sit-in davanti alle sedi dell’Esercito” si legge in un comunicato dell’associazione dei professionisti sudanesi, organismo parallelo ai sindacati e quindi non riconosciuto dal regime.  “Continueremo a mantenere il controllo delle strade e delle piazze liberate con forza e merito finché il potere sarà consegnato ad un governo di transizione civile, espressione delle forze della rivoluzione”, continua il testo. Con una minaccia finale: “Questa è l’ultima parola, vi diamo appuntamento nelle strade che non tradiscono
Anche l’altro “motore” della rivolta, l’aggregazione di partiti di opposizione chiamata Alleanza per la libertà e il cambiamento, si è ribellata alla decisione dell’esercito: “Il regime ha condotto un colpo di Stato militare riportando le stesse facce e le stesse istituzioni contro cui il nostro popolo si è sollevato”. L’alleanza, che aveva invitato i manifestanti a “non attaccare né il governo né le proprietà private” con la minaccia di punizioni, ha ribadito il rifiuto alle nuove norme: “Respingiamo tutto quello che è stato detto nella dichiarazione del golpe fatta dal regime“.

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