Sono continuati anche nella notte i combattimenti nella capitale del Sudan, Khartoum, fra i paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf) e l’esercito regolare. Finora sono 56 le vittime e quasi 600 i feriti, secondo i dati riportati dal Comitato dei medici sudanesi. Per il secondo giorno spari e il rumore dell’artiglieria pesante si sentono nella città, nonostante gli appelli internazionali. Le forze di supporto rapido hanno dichiarato su Facebook che a Port Sudan sono state attaccate da “aerei stranieri”. L’esercito sudanese dice di avere preso il controllo della più grande base delle Rsf a Karari. Mentre i paramilitari affermano di avere abbattuto un aereo Sukhoi dell’esercito. Intanto il consiglio della Lega araba ha indetto una riunione urgente. Questa mattina pesanti scontri a fuoco tra forze militari e paramilitari sono in corso nei sobborghi settentrionali e meridionali della capitale del Sudan, Khartoum, come hanno riferito testimoni. In tutta la capitale, uomini in uniforme, armi in pugno, girano per strade vuote di civili, mentre colonne di fumo si alzano dal centro della città, dove si trovano le principali istituzioni del potere. Il comandante delle forze di supporto rapido sudanesi, il tenente generale Muhammad Hamdan Dagalo ha annunciato a Sky News Arabia che “le sue forze controllano il 90% delle aree militari in Sudan“, aggiungendo che Abdel-Fattah Al-Burhan, comandante delle forze armate sudanesi, “si nasconde sotto terra e spinge i figli dei sudanesi a combattere”, mentre “un certo numero di ufficiali si sono uniti alle forze di supporto rapido”.

Testimoni hanno riferito di colpi di artiglieria anche a Kassala, nella regione costiera orientale del Paese. Per quanto riguarda la televisione di Stato, entrambe le parti sostengono di averla conquistata. La Lega Araba terrà una riunione di emergenza al Cairo, su richiesta di Egitto e Arabia Saudita, due attori influenti in Sudan. Il conflitto era già in corso da settimane, impedendo qualsiasi soluzione politica in un Paese che dal 2019 sta cercando di organizzare le prime elezioni libere dopo 30 anni di dittatura islamico-militare. In questa fase è impossibile sapere chi abbia in mano la situazione.

La lotta tra militari ed esercito – Le divisioni tra il generale Abdel Fattah al-Burhane, capo dell’esercito, e il generale Mohamed Hamdane Daglo, detto “Hemedti”, capo delle Rsf (migliaia di ex-militanti della guerra del Darfur che sono diventati ausiliari ufficiali delle truppe regolari) sono degenerate in violenza la mattina del 15 aprile nel Paese che conta 45 milioni di abitanti, uno dei più poveri del mondo, dilaniato dalla guerra da decenni. La guerra aperta tra i generali è anche un affare mediatico: sabato Hemedti ha rilasciato una serie di interviste a canali televisivi del Golfo, alcuni dei quali sono suoi principali alleati, rivolgendo insulti al suo rivale, il generale Burhane, che finora non si è fatto vivo. Hemedti ha costantemente chiesto che “Burhane il criminale” vada via. Entrambi tuttavia, hanno risposto al telefono quando il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha chiesto “la fine immediata delle violenze”. Intanto al Cairo c’è preoccupazione per un video apparso sui social che mostra diversi soldati egiziani apparentemente nelle mani degli uomini della Rsf.

Padre Albanese: “Quello che sta succedendo in Sudan è anche un effetto collaterale della guerra russa in Ucraina” – Lo ha dichiarato al Quotidiano Nazionale il sacerdote comboniano padre Giulio Albanese, editorialista ed esperto di questioni africane. “Da tanti anni il Paese – spiega – anela alla democrazia. Ma ciò non è mai avvenuto. La situazione è complessa. La posizione dell’Occidente rispetto al Sudan è chiara: vuole che vada in porto la transizione verso la democrazia. Ma gli interessi sono molteplici”. “Hemeti – prosegue – è filorusso, molto amico di Lavrov. Subito dopo l’invasione russa dell’Ucraina andò in visita a Mosca. Di recente Lavrov ha ricambiato l’omaggio. E da tempo i mercenari Wagner si sono stabiliti nel Paese, mentre prima i rapporti militari si limitavano alle forniture di armi”. Rispetto invece al ruolo delle altre potenze mondiali, “dagli anni Novanta il Sudan è stato praticamente colonizzato dalla Cina, interessata principalmente al petrolio. Le cose sono cambiate solo un po’ dopo l’indipendenza del Sud Sudan nel 2011, dato che il conflitto aveva danneggiato alcuni impianti e giacimenti in quell’area”.

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