Dopo la “pausa forzata” della pandemia, sono ripartiti i viaggi all’estero a scopo procreativo. Sarebbero infatti oltre 13mila le coppie italiane che cercano aiuto fuori dai confini nazionali, nonostante in Italia ci siano specialisti e centri di indubbia eccellenza. In aumento del 30 per cento rispetto al 2019. Spagna, Grecia, Repubblica Ceca, Danimarca e Belgio sono le mete più gettonate, specialmente tra le coppie che puntano alla fecondazione eterologa, cioè alla tecnica di Pma che prevede l’utilizzo di gameti, ovuli o spermatozoi, prelevati da un donatore esterno alla coppia. A rilevarlo sono gli specialisti della Società italiana di riproduzione umana (Siru) riuniti in occasione del 6° Congresso Nazionale intitolato “La medicina della riproduzione: tra ricerca e clinica”, che parte oggi a Roma fino al 14 aprile.

“Nonostante la Corte Costituzionale, a partire dal 2014 abbia ufficialmente allargato l’accesso alla PMA in Italia, autorizzando anche la fecondazione eterologa, sono ancora molte le coppie che continuano ad andare all’estero”, afferma Antonino Guglielmino, presidente della Siru. I motivi di questo fenomeno sono diversi: stando a quanto riferito dagli esperti della Siru. “Nel Bel Paese la procreazione assistita è, di fatto, indietro; la donazione non è incentivata e la legge 40 del 2004 che la regola prevede ancora molti limiti, nonostante le modifiche negli anni”, aggiunge.

Eppure, in Italia si praticano circa 90mila cicli l’anno, cifre in linea con gli altri Paesi europei. Inoltre, i centri italiani di procreazione medicalmente assistita sono altamente controllati e, al pari dei centri trapianti, devono rispondere a standard di sicurezza elevati. “In più, vantiamo grandi professionisti apprezzati in tutto il mondo”, sottolinea Guglielmino. “Abbiamo troppi problemi irrisolti: pensiamo alla situazione di stallo sui LEA, Linee Guida e Legge 40, che fanno sì che nella procreazione medicalmente assistita, il nostro Paese rimanga costantemente indietro”, sottolinea ancora.

La Siri ha proposto al ministero della Salute 219 linee sulla Pma, riguardanti la prevenzione e l’informazione della coppia. Da tempo gli operatori della Pma attendono una risposta, ma fino ad oggi nulla. Ma se queste linee guida trovassero applicazione nei Lea si potrebbe iniziare a lavorare sui cosiddetti “PDTA”, Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali, che hanno lo scopo di uniformare l’approccio clinico a determinate categorie di pazienti e di raccordare tutte le fasi di diagnosi-cura-assistenza-riabilitazione.

Sono state anche proposte diverse modifiche alle Legge 40 che disciplina i trattamenti di Pma in Italia per quanto riguarda il problema degli embrioni non utilizzati, che in Italia non si possono smaltire né donare alla scienza come avviene in altri Paesi, cosa che invece sarebbe utile per studiare, per esempio, le malattie genetiche.
Infine, continua a essere determinante anche il problema della mancata applicazione dei Lea, ovvero delle prestazioni minime garantite dal nostro Servizio Sanitario nazionale. “Il paradosso è che, nonostante l’inserimento della Pma nei Lea, il Ministero della Salute non ha ancora pubblicato le tariffe ufficiali per queste prestazioni, una mancanza che crea una situazione di incertezza e difficoltà per le Regioni italiane che non riescono a garantire l’accesso uniforme ai trattamenti a tutti i cittadini”, dice Guglielmino. “Chiediamo dunque al Governo di intervenire e riparare così una volta per tutte a questa ingiustizia: sono oltre 100mila le coppie italiane in attesa e il tempo non è dalla loro parte”, conclude.

di Valentina Arcovio

Articolo Precedente

Novara, coppia abbandona in Ucraina bimba nata con maternità surrogata: rinviato a giudizio solo il padre biologico

next
Articolo Successivo

Migranti, siamo all’assurdo: la vera emergenza è un governo che non sa gestire questo fenomeno

next