Il giorno di Pasqua, una donna ha posto un neonato nella Culla per la Vita del Policlinico di Milano insieme ad una lettera nella quale spiegava che non voleva tenere il bambino, la sua scelta è diventata pubblica ed è stata investita da una pioggia di giudizi, appelli ad un ripensamento, dichiarazioni di sensi di colpa in un vortice di incontinenza collettiva e di reazioni di pancia prive di rispetto, empatia, delicatezza per una scelta intima che avrebbe dovuto essere protetta dal silenzio, garantendo in modo assoluto la privacy. Ma nulla è stato protetto, nemmeno il buon senso. Sui quotidiani sono stati riportati dettagli che potrebbero rendere riconoscibile la donna e quell’anonimato al quale aveva diritto rischia di cadere sotto i colpi del tam tam mediatico a cui è seguito quello sui social con gli sproloqui e i commenti impietosi e giudicanti. Se non sarà riconosciuta riconoscerà la sua storia e cosa leggerà nelle parole spese per raccontarla?

Ezio Greggio le ha rivolto un appello mentre il direttore del reparto di Neonatologia si è lasciato andare a dichiarazioni parlando di “sconfitta per tutti” di “scelta inaccettabile nella ricca Milano” e ora ci dobbiamo chiedere se questa donna sia stata rispettata e se le è stata data quella riservatezza che era doveroso garantirle, se sia stato giusto giudicare la sua scelta “inaccettabile” perché infrange la retorica sulla maternità e l’aspettativa che ogni donna desideri accogliere un figlio e se non lo fa allora ci troviamo davanti ad un gesto immorale o contro natura.

Le pressioni sociali e le aspettative sulla maternità possono essere pervasive fino alla violenza, sia quella fatta di giudizi scagliati sulle donne che abortiscono e che rischiano di vedere il loro nome inciso su croci di legno nei Cimiteri degli Angeli, che quell’altra forma di violenza più subdola che si confonde con la commiserazione o il compatimento, quella che stigmatizza come “sconfitta” la scelta di una donna di lasciare in adozione il figlio appena nato affidandolo ad altre famiglie, ad altre cure.

C’è una legge in Italia che consente alle donne di partorire in anonimato e di lasciare il neonato nelle strutture ospedaliere dove è nato: è l’articolo 30 del Dpo 396/2000. Grazie a questa legge, una donna che non voglia tenere il figlio può recarsi in ospedale, partorire con l’assistenza medica e lasciare il bambino in sicurezza chiedendo di non essere nominata, in questo caso, il bambino all’atto di nascita viene registrato come “nato da donna che non consente di essere nominata”. E’ una legge poco conosciuta e della quale le donne dovrebbero essere informate.

Da diversi anni, per evitare che neonati siano abbandonati subito dopo il parto per strada, o nei bagni pubblici o nei cassonetti, rischiando di morire di freddo o fame o incuria, alcuni ospedali italiani hanno messo a disposizione le Culle per la Vita, una sorta di versione moderna della Ruota degli Esposti che permette di affidare il neonato alle cure altrui, mantenendo l’anonimato. In Italia se ne contano una cinquantina quello del Policlinico è stato istituito nel 2007 e questa è solo la terza volta che è stato adoperato. Una opzione che può evitare il peggio, ovvero la morte dei neonati ma che ci deve interrogare su come ancora oggi per una donna sia quasi difficile essere accolta e sostenuta quando sceglie di dire no alla maternità.

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Il problema non è lasciare il bimbo nella Culla per la vita ma rendere pubblica la scelta

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