Rimangono ancora diverse domande e punti da chiarire riguardo alla morte di Alessandro Parini, l’avvocato romano 35enne travolto e ucciso da un’auto sul lungomare di Tel Aviv. Alcune risposte potrà fornirle solo l’autopsia che verrà effettuata sul corpo. Al momento, ciò che è certo è che l’uomo, insieme ad altre 7 persone rimaste ferite, è stato travolto e ucciso dall’auto lanciata sulla pista pedonale. E soprattutto, è questo uno dei punti ancora da chiarire di tutta la vicenda, non è stato raggiunto da alcun colpo di proiettile.

Proprio su una possibile sparatoria le informazioni arrivano contraddittorie. Le prime notizie circolate parlavano di un’auto lanciata contro i pedoni dalla quale un uomo aveva anche aperto il fuoco. Poi si è scoperto che Yussef Abu Jabber, colui che era alla guida del mezzo, aveva con sé un’arma che, però, era una semplice riproduzione: ha tentato di afferrarla quando glia genti lo hanno raggiunto e per questo è stato freddato. Non può essere stato lui, quindi, ad aver esploso i colpi: è possibile che le testimonianze iniziali abbiano attribuito gli spari all’uomo alla guida del mezzo, ma che invece si trattasse di quelli degli agenti già presenti sul posto che hanno aperto il fuoco per frenare la sua corsa.

C’è anche un altro elemento sul quale l’Istituto di medicina legale di Abu Kabir ha voluto fare chiarezza: a differenza di quanto scritto da alcuni media italiani, dalla tac non è stato rinvenuto alcun proiettile sul corpo di Parini, né alle gambe né alla testa. Sui quotidiani era circolata infatti la notizia che dai primi esami comunicati alle autorità italiane il giovane aveva un proiettile nella gamba (non letale) e una lacerazione alla testa. Notizia smentita dall’Istituto israeliano. A confermare la versione dei medici sono anche fonti della polizia sentite dal quotidiano Haaretz: Parini è morto per l’impatto provocato dall’auto, come emerge dagli esami sul corpo dell’avvocato che evidenziano consistenti ferite alla testa e alla schiena compatibili con lo scontro. Le fonti hanno quindi escluso l’incidente stradale sostenendo invece che Abu Jaber abbia agito in “modo premeditato” con l’auto lanciata contro la gente.

Intanto lo Shin Bet, il servizio segreto interno, ha interrogato i parenti e perquisito la casa dell’uomo alla guida dell’auto. Si tratta, come appreso poco dopo la morte dell’avvocato italiano, di un arabo israeliano, padre di sei ragazze, che lavorava come bidello con la moglie in un liceo vicino a Tel Aviv. Secondo le ricostruzioni, ha percorso i 25 chilometri da Kfar Qassim per andare a colpire nelle ore in cui la folla sul lungomare della città israeliana è più numerosa. I familiari continuano a sostenere che l’uomo non abbia agito volontariamente, che potrebbe essersi sentito male, ma la procura di Roma indaga per attentato con finalità di terrorismo, omicidio e lesioni.

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