Il 30 marzo il Garante della Privacy italiano ha imposto il blocco dell’accesso a ChatGPT che, per quei pochi che ancora non lo conoscessero, è un sistema d’intelligenza artificiale sviluppato da OpenAI, che utilizza la tecnologia del deep learning per generare testo tramite dei prompt forniti dall’utente. Una decisione che ha ovviamente suscitato diverse polemiche e interrogativi sulla libertà di espressione e sulla regolamentazione dei sistemi d’intelligenza artificiale. Nel marasma di chi è già corso ai ripari in vari modi – c’è chi ormai dell’utilizzo di ChatGPT ha fatto, direttamente e non, un lavoro vero e proprio – abbiamo fatto qualche domanda ad Andrea De Micheli, presidente di Web3 Alliance per approfondire il tema.

Partiamo da quelle basi che per gli addetti ai lavori potrebbero sembrare banali: come mai è stato bloccato chatGPT in Italia? Che differenza c’è con qualsiasi altro sito (ormai praticamente tutti) che raccoglie i dati degli utenti?
Il Garante italiano della privacy mi sembra abbia rilevato la mancanza di quattro elementi: innanzitutto, a differenza di altri servizi disponibili online, ChatGPT difetta di un’informativa sulla privacy per tutti i soggetti interessati, utilizzatori e non, che hanno in qualche modo fornito dei dati a OpenAI, sia in fase di training del sistema, sia in fase di utilizzo. Manca poi una giustificazione legale alla raccolta e alla conservazione di un’enorme mole di dati personali, utilizzati per “addestrare” gli algoritmi di funzionamento della piattaforma. Non bisogna nemmeno sottovalutare l’accuratezza dei risultati forniti nel caso in cui siano correlati ad informazioni personali, determinando possibili trattamenti fuorvianti e scorretti.

Infine, nonostante il servizio sia in principio riservato ai maggiori di 13 anni, non è presente un filtro per la verifica dell’età degli utenti, lasciando libero accesso a chiunque. I competitor di ChatGPT, se così possiamo definirli, hanno spiegato nei loro disclaimer le ragioni per cui raccolgono i dati, in che modo li conservano, chi ne è responsabile, e hanno un filtro che richiede all’utente di non entrare nel sito se minore di una certa età. Certo è che la normativa vigente non aiuta a trattare in maniera equa e oggettiva quanto rilevato, poiché soffre un vulnus legislativo, poiché non è stata concepita per disciplinare fattispecie innovative nell’utilizzo dei dati e delle informazioni personali così complesse come quelle che stiamo vivendo oggi.

Quali sono le possibili soluzioni per consentire agli utenti italiani di accedere a ChatGPT senza violare le restrizioni imposte dalle autorità e come potrebbe essere regolamentato l’uso di applicazioni come ChatGPT per garantire la protezione dei dati personali degli utenti? Anche perché quasi tutti ormai sono corsi ai ripari usando sia VPN a pagamento che affidandosi a quella integrata a browser come Opera.
Stante che l’uso di una VPN non è di per sé necessariamente illegittimo, la violazione contestata non è commessa dall’utente ma dalla società OpenAI che eroga il servizio, per le ragioni anzidette. Fatta questa debita premessa, oggi è ancora possibile accedere a ChatGPT dall’Italia utilizzando servizi che permettono di oscurare il nostro indirizzo di provenienza, come le VPN o le Proxy. OpenAI, infatti, come risposta alla circolare del Garante ha deciso di bloccare l’accesso al servizio a tutti gli IP italiani (l’IP è una sorta di nostro “indirizzo online”); tuttavia, grazie a questi servizi di intermediazione del traffico è ancora possibile accedere a ChatGPT transitando da server localizzati in altri paesi.

Esiste un altro modo di accedere a ChatGPT, attraverso servizi sviluppati da terze parti che utilizzano il “motore” di ChatGPT per finalità specifiche e/o servizi erogati online. L’azienda americana non ha – al momento – bloccato l’accesso al motore, probabilmente poiché questi software in molti casi non raccolgono dati personali, o comunque lo fanno sotto la responsabilità dello sviluppatore di terze parti. Nel caso in cui tale sviluppatore agisca nel rispetto delle regole imposte dal Garante, c’è da chiedersi se l’utilizzo di tali servizi sia in contravvenzione con quanto disposto dal Garante o meno..

Tuttavia, benché funzionanti, se guardiamo a quanto accaduto da un punto di vista puramente giuridico, tali metodi sono considerati illeciti sulla base di quanto disposto dal Garante, in quanto potrebbero costituire un modo per aggirare il divieto imposto con il rischio di violare la normativa e i diritti degli utenti. Così come fuorilegge lo erano le radio libere nel 1975, a causa di un vulnus giuridico poi sanato dalla Corte Costituzionale. Anche in quel caso pionieri furono gli imprenditori e non il legislatore.

In attesa della regolamentazione definitiva sull’Intelligenza Artificiale, le contestazioni mosse dall’Autorità Garante Italiana potrebbero essere prese in considerazione anche da parte di altre Autorità Europee come spesso accade. Attendiamo con interesse l’incontro tra i rappresentanti di OpenAI e il Garante.

Quali sono le implicazioni a lungo termine del blocco di ChatGPT per l’industria delle applicazioni di intelligenza artificiale in Italia e in che modo il blocco di ChatGPT potrebbe influenzare il mercato italiano dell’IA e dell’informatica in generale?
Quanto accaduto, ahimé, non è un tentativo – sebbene definibile maldestro – di regolare un settore di vitale importanza per lo sviluppo dell’innovazione delle imprese, ma la semplice applicazione burocratica di regole non adatte al contesto storico in cui si sviluppa la vicenda. Ricordiamo che l’intervento del Garante, difatti, è circoscritto al singolo servizio, non all’intero comparto dell’Intelligenza Artificiale. Personalmente non credo che assisteremo a un blocco a lungo termine di ChatGPT in Italia, perché non si può fermare il mare con le mani. Ho già avuto modo di dichiarare che questo divieto è inutile, perché può essere aggirato anche da un bambino – è già nato in proposito il sito pizzagpt.it per superarlo – ed è anche dannoso per l’Italia, perché non è stato coordinato con l’Europa.

Oggi francamente non si possono affrontare tematiche tanto importanti a livello nazionale, ma devono essere affrontate di concerto a livello sovranazionale, con il coordinamento di tutti i Paesi dell’UE. Una cornice legislativa che è mancata nella prima corsa di Internet e che, di fronte alla quinta rivoluzione industriale alle porte, rischia di lasciare nuovamente un vuoto, causa di incertezze sugli investimenti in innovazione e miglioramento dei fattori produttivi, vitali per lo sviluppo del Paese. Sarebbe stato quindi meglio sollevare il problema sui media, magari minacciando un blocco, in accordo con le authority degli altri paesi. Blocco che dal nostro punto di vista non è destinato a durare: prevediamo che emergerà presto qualche forma di compromesso tale da sbloccare la situazione specifica.

Cosa penserebbe se le dicessi che una di queste domande è stata generata chiedendo all’AI “Devo intervistare un esperto sul blocco di chatGPT in Italia, mi consigli una domanda da porgli?”
Aspetti che chiedo a ChatGPT…

ChatGpt ha già in qualche modo cambiato la tua vita lavorativa? Raccontacelo. Scrivi a redazioneweb@ilfattoquotidiano.it indicando nell’oggetto “ChatGPT”

Articolo Precedente

Cosa è il logo del cane comparso su Twitter al posto dell’uccellino. E perché riguarda Musk

next
Articolo Successivo

ChatGPT è come uno studente problematico. E io gli ho fatto un esamino…

next