Piero Amara era il “primo avvocato dell’Eni per fatturato” e “dovevamo capire perché aveva fatto le cose che ha fatto. Mentre negli altri tribunali si patteggiava senza approfondire la Procura di Milano è stata l’unica che ha continuato ad indagare“. Francesco Greco ha respinto ancora una volta le accuse di inerzia investigativa mosse nei confronti della procura di Milano, che guidava all’epoca dell’esplosione del cosiddetto caso Amara, dal nome dell’ex legale esterno dell’Eni autore di alcune clamorose rivelazioni sull’esistenza di una fantomatica loggia Ungheria.

La vicenda – Amara aveva messo a verbale quelle dichiarazioni davanti al pm milanese Paolo Storari che, avvertendo una sorta di freno alle indagini imposto a suo dire dai vertici della procura, decise di consegnarli a Piercamillo Davigo, all’epoca consigliere togato del Csm. Dalla vicenda sono nati diversi procedimenti penali. Greco, già archiviato per omissione di atti d’ufficio, ha deposto oggi come testimone al Tribunale di Brescia nel processo in cui Davigo risponde di rivelazione del segreto d’ufficio, per aver poi fatto circolare i verbali ricevuti da Storari. Per lo stesso reato il pm di Milano è stato già assolto in via definitiva.

La deposizione di Greco – “Una cosa è certa, quando Storari viene da me a parlarmi per fare le iscrizioni, il giorno dopo convoco la riunione che poi slitta all’8 maggio. In quale posto del suo cervello fissa che non volevo farle? Il problema è un altro: noi avevamo un fascicolo contenitore che era quello sul falso complotto, e bisognava fare lo stralcio. Storari, poi, è smentito dal fatto che firma l’ordine di identificazione il 24 aprile, ma perché non lo aveva fatto a gennaio?, di tre anni fa quanto terminano gli interrogatori di Amara”, ha raccontato Greco ai giudici, ricostruendo le varie fasi della primavera 2020. L’ex procuratore, oltre ad aver ribadito che di lì a poco sono stati iscritte nel registro degli indagati 3 persone e poi che si è dovuta definire la non semplice questione della competenza territoriale in favore di Perugia, nella sua ricostruzione ha ricordato il giorno in cui il pm Storari andò da lui per dirgli che “era stato lui a fare uscire i verbali e a consegnarli a Davigo. Poi si era messo a farfugliare, così l’ho pregato di mettere per iscritto tutto. Rimasi freddo e disarmato e ancora oggi mi rimprovero di non averlo fatto sedere e detto ‘calmati e vediamo come risolvere’. Ci sono rimasto male”. Greco ci ha tenuto a sottolineare di avere avuto con Storari sempre un rapporto “ottimo” , quasi “figliale” e negando ci fosse un “clima di scontro”. “Ci sono rimasto male anche per Davigo – ha aggiunto – Quando il Csm voto per il suo pensionamento, lo chiamai per esprimere la mia solidarietà”.

Il caso Tremolada – In aula Greco ha affontato anche la questione relativa a una piccola parte dei verbali di Amara. Quella inviata alla procura di Brescia a modello 45 (atti non costituenti notizie di reato) per indagare sul giudice Marco Tremolada, presidente di sezione di tribunale a Milano, davanti al quale pendevano i due principali processi del momento. Amara aveva raccontato – de relato – come Tremolada fosse stato avvicinato dai difensori di Eni – fra cui l’ex ministra della Giustizia, Paola Severino – nel processo sulla maxitangente nigeriana e avesse in qualche modo garantito un’assoluzione. “Io pensai: questa non ci voleva”, ha detto Greco in aula. “Ma cosa dovevamo fare con i processi in corso? In Eni-Nigeria c’era anche una parte civile costituita che si chiama Stato della Nigeria. Chiamai Storari e De Pasquale e dissi che avevo imparato che le cose che si devono mandare a Brescia (la procura competente per i reati ipotizzati a carico di magistrati di Milano, ndr) si mandano a Brescia”. Greco ha continuato spiegato che “Tremolada era il presidente del collegio sui processi Eni-Nigeria e Ruby ter. Non si potevano ignorare le dichiarazioni di Amara. Se avesse avuto ragione sarebbe saltato mezzo tribunale di Milano ma noi non potevamo indagare”. Quelle, ha proseguito il magistrato, “erano dichiarazioni fuori dal contesto di Loggia Ungheria. Riguardava un comportamento su un procedimento in corso. Ci voleva Brescia, non ci sono santi“.

La deposizinoe di Salvi Prima di Greco, al processo Davigo è stato ascoltato l’ex procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi, che fu avvicinato da Davigo all’interno del “secondo cortile del Csm“. “Mi parlò preoccupato di una situazione appresa a Milano, un procedimento nato da dichiarazioni di Amara su una loggia massonica coperta potente e pericolosa di cui facevano parte soggetti istituzionali di alto livello fra cui anche due componenti del Csm e altri magistrati. A suo parere l’indagine languiva e non vi erano iniziative necessarie che sembravano opportune”, ha spiegato l’ex pg della Cassazione. “Ma – ha aggiunto – che ci fossero i verbali che circolavano fra consiglieri del Csm non lo sapevo. Nessuno mi ha citato la fonte d’informazioni, il nome Storari non è mai comparso“. Storari ha raccontato di aver risposto a Davigo così: “‘Farò quello che devo fare“. A quel punto si attivò con Greco. “La questione – ha detto Salvi – poteva essere dirompente e a mio parere l’indagine andava fatta. Greco mi disse che non era vero che non stavano andando avanti e che la situazione era sotto controllo”.

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