Il ministro Lollobrigida ha detto che è meglio lavorare nei campi piuttosto che stare sul divano col reddito di cittadinanza? Le sue parole sono inaccettabili e contengono anche elementi di idiosincrasia nei confronti delle persone che sono in sofferenza. Il ministro, invece, dicesse che il lavoro nei campi va pagato. Nient’altro“. Così, a Uno, Nessuno, 100Milan (Radio24), Jean-René Bilongo, giornalista italo-camerunense e presidente dell’Osservatorio Placido Rizzotto Flai-Cgil sulle agromafie, commenta le dichiarazioni rilasciate due giorni fa dal ministro dell’Agricoltura al Vinitaly di Verona (“I giovani italiani devono sapre che lavorare in agricoltura non è svilente. Lo dico a chi è sul divano, mentre prende il reddito di cittadinanza”).

Bilongo spiega: “Il divario tra Nord e Sud esiste dalla notte dei tempi e il ministro si rivolge ai giovani del Mezzogiorno che percepiscono il reddito di cittadinanza accusandoli di ciondolare e di stare sul divano. Non è affatto così. Attualmente la retribuzione media oraria per chi lavora sui campi è di 60 euro per 6 ore e 30 minuti di lavoro. Facciamo allora un banalissimo conto: se il reddito di cittadinanza arriva a 500 euro al mese, lavorando invece per 10 giorni sui campi, si intascano oltre 600 euro – continua – Se poi si lavora un mese, si possono guadagnare 1800 euro. Se allora c’è tutta questa richiesta di manodopera in agricoltura, il problema è un altro: bisognerebbe rivendicare con forza che le retribuzioni siano confacenti con il contratto collettivo di riferimento. Cioè il lavoro va semplicemente e debitamente pagato, lo dice l’art. 36 della Costituzione. Non ci dobbiamo inventare proprio nulla”.

E aggiunge: “Nel campo dell’agricoltura ci sono elementi patologici che vanno risanati non con panacee particolari, ma semplicemente con l’applicazione del contratto collettivo nazionale. Tra caporalato e altro, si sono consolidati comportamenti viziati e viziosi da parte dei datori di lavoro, secondo cui la manodopera che si rivolge a loro è da discount, quindi far lavorare qualcuno nella propria azienda agricola è benevolenza e carità – conclude – Non è così. È lavoro e come tale va pagato. In realtà, la madre delle domande è: ha senso avere contratti collettivi con tutele varie e non rispettarli? Allora, diciamolo coralmente e con forza: i lavoratori vanno pagati adeguatamente“.

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