Nei giorni scorsi Danimarca, Finlandia, Norvegia e Svezia hanno rivelato di aver gettato le basi, durante la conferenza della scorsa settimana presso la base aerea di Ramstein in Germania, per la costituzione di una flotta aerea unificata di ragguardevoli dimensioni con l’obiettivo di operare come un’unica forza creando un modello nordico per operazioni aeree cooperative basato su procedure Nato. In pratica, nasce una aerea regionale con una potenza di fuoco – 250 aerei da combattimento disponibili dii fatto, 400 potenziali – paragonabile a quella della Francia o della Turchia e superiore al Regno Unito. La collaborazione includerà il monitoraggio cooperativo dello spazio aereo, l’addestramento, il dispiegamento flessibile delle forze, il comando e il controllo integrati, la pianificazione operativa e l’esecuzione.

Che non si tratti di una piccola cosa lo dicono i numeri: la Norvegia, che è anche membro della Nato, dispone di una flotta di 37 caccia F-35 di quinta generazione, con ulteriori 15 F-35 in arrivo entro il 2025; la Finlandia, prossima a aderire all’alleanza, dispone attualmente di 62 caccia multiruolo F/A-18C/D e ha ordinato 64 F-35, il cui arrivo è previsto nel 2026; la Danimarca, membro fondatore della Nato al pari della Norvegia, ha al momento 58 F-16 e ha ordinato 27 F-35, con il primo set che arriverà nel 2023; Svezia, infine, ha quasi cento caccia Gripen C e D di produzione Saab e prevede di passare a una versione aggiornata nel prossimo futuro.

Tutto questo è stato reso possibile dalla rinuncia alla politica di neutralità da parte di Helsinki e Stoccolma: possiamo dire che ne sia il primo frutto. Come aveva previsto l’ex comandante delle forze americane in Europa, generale Ben Hodges, con Svezia e Finlandia, l’Alleanza atlantica ottiene due fornitori – e non certamente due “consumatori”- di sicurezza per il Vecchio Continente e Washington: il loro ingresso comporta un drastico cambiamento nella geometria della difesa della Nato in Europa settentrionale ed orientale a causa della loro collocazione geografica, ma anche un miglioramento delle capacità di difesa aerea e missilistica per l’alleanza, così come il potenziale per operazioni controffensive, se mai lo fosse necessario.

Il progetto di una forza aerea nordica congiunta non arriva all’improvviso, ma è il frutto di un dialogo iniziato addirittura negli anni Novanta, a cui lo status non allineato di Svezia e Finlandia aveva sempre impedito di passare a una fase operativa.

Stoccolma, la cui adesione alla Nato subisce ancora il veto di Turchia e Ungheria, con questa mossa rafforza la propria sicurezza per non dipendere solo dalla garanzia militare degli Stati Uniti, anche in considerazione del fatto che in un recente passato l’allora presidente Trump aveva messo in discussione gli impegni degli Stati Uniti in Europa.

Anche se la dichiarazione di Ramstein non fa riferimento alla Russia, Mosca è il convitato di pietra: d’altronde, tre mesi fa il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu aveva affermato che “dato il desiderio della Nato di aumentare il proprio potenziale militare vicino ai confini russi, nonché di espandere l’alleanza aggiungendo Finlandia e Svezia, è necessario adottare misure di ritorsione e creare un adeguato raggruppamento di truppe nel nord-ovest della Russia”. Helsinki e gli altri paesi non potevano certamente aspettare di vedere il colore degli occhi dei soldati russi per prendere delle contromisure adeguate. D’altronde, le parole di Shoigu rappresentano solo il culmine di un decennio in cui i nordici hanno assistito al rafforzamento della base di Kaliningrad e al suo riempimento di missili nucleari, alla simulazione di bombardamenti nucleari della Svezia nel corso delle esercitazioni russe del 2013, a ripetuti attacchi cyber e a uno stillicidio di violazioni dello spazio aereo con aerei da caccia e bombardieri, per non parlare della guerra di aggressione contro l’Ucraina.

Questa mossa conferma, se ce ne fosse stato bisogno, che i Paesi-guida dell’Europa, Francia e Germania, come scritto da Politico pochi mesi fa, sono caduti sulla scia della Polonia e delle nazioni nordiche e baltiche nel tentativo di guidare l’agenda europea. Ma rivela anche la volontà di molti Stati di non trovarsi impreparati di fronte a concrete minacce alla sicurezza, circondati da alleati inaffidabili, come successe a Cecoslovacchia e Polonia nel 1938-39: per questo, i nordici con la loro flotta aerea unificata e la stessa Polonia con i suoi maxi investimenti militari hanno deciso di “aiutarsi” da soli, invece che attendere protezione da Washington e promesse da Berlino e Parigi. La vicinanza culturale tra le quattro democrazie nordiche e la presenza di una minaccia comune hanno fatto il resto.

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