“Gli scienziati dell’Ipcc suonano l’allarme climatico”: così titolano le testate di tutto il mondo in seguito alla pubblicazione della terza parte del report AR6 (Assessment Report), in cui il tavolo intergovernativo offre uno sguardo cupo sulle prospettive ecoclimatiche in un ultimo riassunto per i decisori politici, senza però lasciare da parte appelli alle soluzioni già esistenti e implementabili. Questo documento finale non introduce novità sostanziali, ma rappresenta la bussola scientifica che dovrebbe guidare, si auspica, le decisioni di governi e istituzioni nel prossimo decennio.

In questo quadro, stride il ricorso al termine “allarme” da parte dei media. Report taglienti come quest’ultimo sono già stati pubblicati nel 2018, 2021 e 2022; l’allarme, nonostante sia la parola che meglio descrive lo scenario ecoclimatico in cui ci troviamo, è stato suonato ripetutamente negli ultimi cinque anni. Quello che evidentemente ancora manca nel 2023 non è la consapevolezza scientifica o popolare, sempre più capillarizzata nonostante l’oscurantismo narrativo, bensì la volontà politica di ascoltare e accogliere questo allarme, di usare le informazioni che porta con sé per scongiurarne effetti nefasti.

Se è vero che i governi del Nord globale stanno iniziando a investire sulle rinnovabili (ad esempio la Cina, leader nella produzione mondiale di pannelli solari, il Green New Deal europeo e il recente Inflation Reduction Act statunitense), questi interventi da soli non bastano a invertire la rotta. Il cuore del problema climatico risiede infatti nelle emissioni di anidride carbonica: aumentare le fonti rinnovabili senza però ridurre quelle fossili non avrà l’effetto risolutivo che questi governi millantano. Investire in rinnovabili è positivo, ma non risolutivo.

Questo allarme è inoltre attutito e ovattato proprio dai governi stessi che, in un atteggiamento connivente con il sistema estrattivo, hanno ripetutamente ridimensionato e rimandato gli allarmi della scienza verso l’attuale sistema fossile e consumistico presente in tutti i documenti. In tal senso, per esempio: l’Arabia Saudita ha imposto di eliminare dal riassunto per i decisori politici nell’AR6 la dichiarazione che i combustibili fossili sono la causa primaria della crisi climatica; la Norvegia ha contestato l’urgenza con cui le emissioni dovrebbero essere ridotte; Cina, Nuova Zelanda e Paesi Bassi hanno chiesto di rimuovere parti in cui gli scienziati mettevano in guardia contro i meccanismi poco efficaci di cattura e stoccaggio carbonica (CCS). E ancora: la Cina ha ottenuto la rimozione del verso più importante (la riduzione delle emissioni di due terzi in 12 anni per rimanere sotto la soglia di +1.5°C), pur lasciando il dato in una tabella riepilogativa a margine; gli Stati Uniti hanno ostacolato la proposta di alcuni Paesi in via di sviluppo di adattare le proprie risposte climatiche in base alle strategie dei paesi ricchi e la proposta di trasferire più tecnologie e investimenti verso gli stati meno abbienti. Inoltre il dibattito finale è stato prolungato a tal punto che i rappresentanti dei paesi del Sud America e dell’Africa hanno dovuto abbandonare la conferenza, concedendo più spazio a trattative e più compromessi favorevoli ai paesi sopra nominati.

In sintesi, e com’è già emerso dalle varie conferenze climatiche, i governi dei Paesi ricchi non hanno nessuna intenzione di affrontare seriamente le dichiarazioni di esperti e scienziati, né di prendere in considerazione le richieste esistenziali e legittime dei Paesi del Sud globale, i più minacciati dagli eventi estremi. Ne è un esempio la politica (non-)climatica dell’Italia: a fronte dell’urgenza di azzerare le emissioni, negli ultimi tre anni sono stati approvati più di 120 progetti fossili (centrali a gas, rigassificatori, metanodotti, nuove importazioni e riaperture di centrali a carbone) che causeranno un aumento di circa 1.2 Gt nella loro vita operativa (per avere un confronto, attualmente nel mondo si emettono circa 37 Gt all’anno).

Viene da chiedersi a chi sia rivolto, allora, questo ennesimo allarme Ipcc, considerando che i destinatari naturali dei report, i decisori politici, non intendono rispondere al proprio mandato di protezione della cittadinanza; ma piuttosto insistono nel tutelare gli attori, economico-produttivi, del disastro che si sta abbattendo sull’umanità.

Abbiamo bisogno della complicità sana dei media per raccontare la verità sulla crisi ecoclimatica: agire ora è l’unico messaggio veicolabile, deve penetrare le vene dell’umanità per pretendere che sia così.

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