di Lelio Bizzarri*

Da diversi giorni, campeggiano nelle città grandi manifesti con la foto di un bambino con sindrome di Down, bianco, biondino e sorridente. Quest’immagine apre i cuori delle persone predisponendoli all’innesto di un concetto chiaro sintetizzato dall’hashtag #StopAborto. Quella di ProVita non è una campagna contro l’eugenetica, ma una chiara ed evidente strumentalizzazione dei bambini con sindrome di Down, con il preciso e dichiarato intento di minare le fondamenta di questo diritto inalienabile.

Ciò che fanno finta di non comprendere i denigratori della legge 194, è che essa ha l’obiettivo di tutelare la salute delle donne, il cui corpo non può essere mai e in alcun modo ridotto a mero strumento di procreazione. L’articolo 6 della legge 194 recita: “L’interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, può essere praticata: a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna; b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”.

Ovviamente, in nessuna parte della comunicazione di ProVita si fa menzione del fatto che, perché possa ricorrere la necessità dell’interruzione di gravidanza oltre la 12° settimana, debba presentarsi l’eventualità che le malformazioni del nascituro siano fonte di grave pericolo per la salute fisica o psichica della partoriente. Si lascia intendere che sia sufficiente la pura e semplice presenza di una menomazione nel feto per giustificare l’interruzione oltre i 3 mesi: e voilà, il gioco è fatto, la legge 194 prende le sembianze di uno strumento per ideologie eugenetiche.

Non è così. Essa preserva i diritti fondamentali e inalienabili alla salute e all’autodeterminazione sul proprio corpo e sulla propria facoltà procreativa. Combattere l’eugenetica e favorire l’inclusione sociale di tutte le persone con disabilità non implica stravolgere la legge 194. Si devono fornire quanti più sostegni pratici e psicologici a chi ha o avrà un bambino con disabilità. Si possono fare campagne culturali per affermare che la vita delle persone disabili e delle loro famiglie può avere una qualità della vita buona. Ciò che non si può in alcun modo fare è mettere in discussione il diritto d’aborto.

Delle due una: o ProVita intende affermare che attendere un figlio con sindrome di Down è automaticamente un fattore di rischio per la salute psichica della madre e quindi ha senso mettere in discussione l’articolo 6 della legge 194 (dal loro punto di vista ovviamente, non da quello di chi scrive) oppure bisogna riconoscere che esso non attiene alla condizione oggettiva di disabilità, ma al riflesso che tale sindrome ha sull’equilibrio psichico della madre. Se fosse vera la prima condizione ProVita manifesterebbe un tale livello di pregiudizio verso i Down da smontare ogni pretesa velleità di difesa dei nascituri con detta sindrome. Nella seconda eventualità, non si può non riconoscere che la legge non ha nulla di eugenetico e, quindi, si invita caldamente a tenere fuori i bimbi con sindrome di Down e tutte le persone disabili da giochi di strumentalizzazione a fini puramente ideologici.

Quella di ProVita, oltre ad essere una campagna mistificatrice sull’impianto ideale della legge 194, si concretizza anche come una macro-aggressione ambientale che, senza troppi giri di parole, accusa di eugenetica le donne che devono ricorrere all’aborto terapeutico e ai medici che lo praticano.

*psicologo e psicoterapeuta

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