Il virus di Marburg è stato isolato per la prima volta alla fine degli anni Sessanta e ciclicamente fa parlare di sé, soprattutto in Africa. Ma per quale motivo è così temuto ed è inserito tra i patogeni da monitorare in quanto ‘potenziali’ responsabili di nuove pandemie?

La recente rilevazione di questo patogeno in Guinea Equatoriale e nel vicino Camerun ha spinto l’Organizzazione Mondiale della Sanità a predisporre una task force di esperti in epidemiologia, assistenza clinica e prevenzione di malattie infettive per tracciarne la diffusione. Il virus, simile all’Ebola, si era fatto notare in passato con diversi focolai: in Sudafrica nel 1975, in Kenya negli anni Ottanta e dagli anni Duemila in poi anche in Angola, in Congo e in altre aree dell’Africa occidentale. Nell’ultima occasione anche in Italia l’epidemia era salita agli onori della cronaca per la morte di una pediatra volontaria di una organizzazione non governativa che operava in Africa.

I focolai epidemici tendono a iniziare quando qualcuno contrae il virus in seguito all’esposizione ai pipistrelli della frutta, di solito nelle caverne o nelle miniere. La trasmissione interumana è la principale forma di contagio e avviene attraverso i fluidi corporei (sangue, saliva, vomito, feci e urine) o contatto con superfici contaminate, quasi mai attraverso aerodispersione.

Allora perché – per nostra fortuna – non è mai diventata una pandemia?

Tra i motivi c’è l’alto tasso di letalità del Marburg, in virtù del quale il virus fa fatica ad espandersi. Infatti le persone contraggono la febbre emorragica da Marburg e con un’incidenza elevatissima muoiono in pochi giorni. Il virus, della stessa famiglia a cui appartiene l’agente eziologico dell’Ebola, ha un tasso di mortalità molto elevato che oscilla dal 30% al 85% (e in alcuni casi anche oltre). Insomma, si muore in una settimana o poco più, e infatti i contagi sono quasi esclusivamente riconducibili a contatti diretti. Verrebbe da dire che non esistono, quasi, i tempi tecnici per consentire una rapida diffusione.

Il virus di Marburg ha un indice di trasmissione molto basso, per cui così come è comparso in passato continuerà a farlo anche in futuro, ma il rischio che si diffonda in paesi al di fuori dell’Africa rimane minimo. È comunque necessario fare attenzione, anche sul piano globale, quando il virus si palesa, perché non si possono sempre conoscere l’evoluzione e la diffusione che un agente patogeno può preferire.

Ad oggi non esiste un vaccino o un trattamento approvato per il virus Marburg, ma l’Oms sta discutendo da mesi sui potenziali candidati vaccini, su nuovi farmaci e soprattutto sulla possibilità di testare terapie sperimentali. Monitoraggio, attenzione e profilassi sono indispensabili… ma niente allarmismi!

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